Egitto

L’Architettura Egizia

Architettura religiosa

I templi egizi si dividono in templi per il culto divino e templi per il culto funerario del re (che, a partire dal Nuovo Regno, furono utilizzati anche per il culto divino). In generale, il tempio rappresenta la ‘casa della divinità’ e il rituale sacro allude a fatti materiali della ‘vita’ del dio, come la pulizia della statua sacra o il nutrimento, per mezzo di offerte.
Prima dell’Antico Regno i templi per il culto divino erano semplici capanne, spesso con recinto antistante preceduto da pali con stendardi appesi. In seguito, il tempio si arricchisce di ulteriori ambienti e alla I dinastia risalgono i primi esempi in mattoni crudi, come quelli di Elefantina e di Abydos.
Molti dei templi che restano dell’Antico Regno, costruiti in pietra o in mattoni rivestiti di pietra, fanno parte dei complessi funerari reali. I templi per il culto divino non avevano ancora un impianto tipico, restando legati elle esigenze specifiche del culto. Notevole è il tempio della Sfinge di Giza, con pianta simmetrica e un cortile interno centrale circondato da pilastri.
Tipici del periodo sono, inoltre, i templi consacrati al culto solare: i due templi di Userkaf (reg. 2465 – 2458 ca. a.C.) e Neuserre (reg. 2416 – 1392 ca. a.C.) ad Abu Ghurab, mostrano un impianto analogo a quello dei complessi funerari, con un altare al posto del tempio alto e un obelisco in luogo della piramide.

Dopo una fase di arresto nel I Periodo Intermedio, l’architettura templare riprese nella fase del Medio Regno, in cui Amon divenne la divinità principale. In generale, le forme tendono a essere più leggere ed elementi come il portico e il pylon, il portale del recinto sacro fiancheggiato da due torri trovano compiuta definizione.
I templi di culto divino si presentano con un portico d’accesso seguito da un vestibolo trasversale con le celle sul fondo (come a Qasr el-Sagha e a Medinet Madi), oppure da una profonda sala circondata su tre lati da cappelle e occupata al centro dalla cella sacra (come nel tempio di Montu a Tod).
Tra le innovazioni del periodo vi sono il tempio rupestre, scavato nella roccia e preceduto da un portico (come il tempio di Hathor a Serabit el-Khadim) e il chiosco, cappella periptera su podio, che sarà elemento ricorrente nei complessi del Nuovo Regno.
Con il Nuovo Regno il tempio egizio assume i suoi caratteri canonici: un corridoio processionale che parte da un approdo lungo il fiume, conduce al pylon, da cui si accede a un cortile circondato da colonne. Segue la cosiddetta sala ipostila, la cui copertura è appunto sostenuta da colonne. Da questa si entra in un secondo vestibolo che porta al sacrario, in genere composto di tre celle. La sezione è ‘a cannocchiale’, ovvero il soffitto si abbassa e il pavimento si innalza procedendo verso le celle sacre.
Nei templi maggiori, come quello di Amon a Karnak, la struttura descritta tende a moltiplicare i suoi elementi base; fuori del tempio ma all’interno del recinto  si trovano spesso altre costruzioni quali alloggi per i sacerdoti, magazzini ecc. Spesso, inoltre, i templi sono connessi l’un l’altro, come nel caso dei templi di Karnak e di Luxor.
Sempre nel Nuovo Regno, i templi funerari si svincolano dalle tombe reali e tendono a uniformarsi ai templi per il culto divino. Sorgono in questo periodo il tempio di Hatscepsut a Deir el-Bahri, il Ramesseum (tempio funebre di Ramesse II) e Medinet Habu (tempio di Ramesse III con annesso palazzo reale).
La tradizione templare non presenta in seguito innovazioni sostanziali: i templi di el-Amarna, capitale fondata da Amenhotep IV (reg. 1353 – 1336 ca. a.C.), riprendono quelli del culto solare, con grandi cortili scoperti; a un millennio di distanza, infine, i grandi templi di età greco-romana come Edfu, Dendera, Kom Ombo ed Esna, replicano la struttura dei complessi del Medio e Nuovo Regno, dimostrando una straordinaria continuità.

Architettura funeraria

Saqqara (Egitto), Complesso funerario di Djoser (III dinastia), con la piramide a gradoni e le cappelle della Heb-Sed.

È a partire dall’unificazione, che dà avvio all’Antico Regno, che l’architettura funeraria assume caratteri definiti. Essenzialmente la tomba, o ‘casa per l’eternità’, consta di una sovrastruttura e di un ipogeo in cui viene deposto il corpo del defunto. Se ne distinguono quattro tipi principali: la tomba a pozzo, la mastaba, la piramide e la cappella funeraria.
Le tombe più comuni in ogni epoca per gli strati medio-bassi della popolazione sono piccole tombe a pozzo senza sovrastrutture. Le prime tombe nobiliari del sud, ad Abydos, erano recintate e costituite da un ipogeo con sovrastruttura in pietrame o mattoni crudi e piccoli annessi. Da queste si sviluppano le cosiddette mastaba, la cui sovrastruttura tronco-piramidale, in mattoni crudi, accoglie numerose camere e magazzini e il cui fronte è di solito scandito da una caratteristica serie di nicchie e paraste (esempi notevoli si trovano nella necropoli di Saqqara).
Le necropoli egizie si trovano in genere lungo la sponda occidentale del Nilo, considerata la “parte dei morti”, mentre lungo la sponda orientale si concentravano i templi divini e le città.
A partire dall’inizio della III dinastia, le tombe regali tendono a differenziarsi nettamente dalle altre sepolture. Un punto di svolta si ha con il complesso funerario di Djoser (sovrano della III dinastia, reg. 2650 – 2600 ca. a.C.) a Saqqara, progettato da Imhotep, il primo costruito in blocchi di pietra calcarea. Il complesso, che comprende diverse costruzioni, ha al centro una piramide a gradoni, sotto la quale si trova la camera sepolcrale.
La piramide a gradoni evolve rapidamente nella forma a spigoli vivi: i sovrani della IV dinastia Cheope, Chefren e Micerinos realizzano nella piana calcarea di Giza i loro straordinari complessi funerari, in cui la piramide è il culmine di un percorso processionale che inizia nell’imbarcadero, edificio posto all’approdo dal fiume, in cui viene fatto sbarcare il corpo de re defunto. Da questo si passa nel tempio “a valle”, da cui un lungo corridoio monumentale coperto conduce al tempio “alto”, addossato alla piramide; al di sotto di questa si trova l’ipogeo in cui viene deposto il corpo.
Anche in questi complessi, entro il muro di cinta trovavano posto costruzioni minori, quali tombe per i membri della famiglia reale, magazzini e alloggi per i sacerdoti.
A partire dalla piramide di Micerinos, le dimensioni tendono a diminuire. La costruzione di piramidi si arresta nel I Periodo Intermedio, e riprende forza con la XII dinastia, per scomparire del tutto a partire dal II Periodo Intermedio. All’inizio del Nuovo Regno si diffonde un nuovo rituale funerario che prevede la separazione tra il tempio e la tomba. Si afferma così, per le sepolture reali, il tipo della tomba scavata nella roccia, già sperimentato in precedenza per i membri dell’elite come alternativa alla mastaba. Presso Tebe, nuova capitale, la Valle dei Re diviene il luogo di sepoltura dei sovrani: le tombe, precedute da un piccolo cortile, possiedono un vestibolo ad asse trasversale da cui si accede a un corridoio che penetra nella roccia calcarea della collina e termina con una nicchia, davanti alla quale si apre il pozzo che porta alla camera funeraria.
Anche i nobili e i funzionari venivano deposti in tombe scavate nella roccia, in necropoli non lontane della Valle dei Re: ben note sono le tombe di Amenemheb e di Neferrenpet, provviste di portico anteriore e sovrastate da una piccola piramide in mattone crudo. Anche nella necropoli di Deir el-Medina si trovano tombe a cappella isolata che ripropongono la forma piramidale, associate ad ambienti ipogei (es. tomba di Sennedjem).
Tipi analoghi si ritrovano anche a Saqqara o Deir el-Bahari, tra le cui tombe spiccano rispettivamente, per dimensioni e monumentalità, quelle di Horemheb e di Montuemhat.
Il tipo della cappella, infine, resiste anche in epoca tarda e greco-romana, mentre le tombe complesse si fanno più rare.

Architettura militare

Favorito dalla posizione geografica, l’Egitto era però esposto alle incursioni lungo il confine sud e il Sinai. Le città di fondazione del periodo predinastico e protodinastico (Herakonpois, Abydos ecc.) avevano cinte murarie pseudo-circolari o rettangolari, bastionate e in mattone crudo e un impianto viario ortogonale. Durante l’Antico Regno Elefantina, costruita su un’isola del Nilo, era la principale roccaforte del sud, con la sua cinta ellittica di alte mura.
L’espansione Egizia in Nubia determinò, nel Medio Regno, l’esigenza di proteggere il nuovo confine con una serie di fortezze (Buhen, Uronarti, Semna, ecc.), talvolta provviste di una seconda cinta esterna con fossato. La forma è generalmente rettangolare ma in condizioni orografiche particolari la cinta asseconda l’andamento del terreno.
Durante il Nuovo Regno, in seguito all’espansione nell’Alta Nubia, furono costruite nuove fortezze e città fortificate, come Sesebi e Amara Ovest; inoltre, piccoli fortilizi vennero eretti a presidio sia delle coste mediterranee che del confine orientale del Delta. Infine, in epoca tarda, si ricordano la rocca di Tell el-Maskhuta e le nuove fortezze nel Delta Orientale.

Architettura palaziale

I palazzi del potere, a differenza dei complessi templari e funerari, erano costruiti in mattone crudo e legno. I maggiori palazzi combinavano spesso funzioni governative, cerimoniali e residenziali: da un vestibolo colonnato si accedeva a una sala ipostila e alla sala del trono, alle cui spalle vi erano gli appartamenti privati del sovrano. Si tratta di complessi che comprendono diversi corpi di fabbrica e sono talvolta associati ai templi; la facciata mostra spesso un tipico motivo a paraste (serekh) e, talvolta, presenta una ‘finestra delle apparizioni’. Resti di palazzi del Medio Regno sono ad Avaris e a Bubasti, mentre del Nuovo Regno sono i grandi complessi di Malqata e di Medinet Habu.

Architettura domestica

Le prime abitazioni, risalenti al Neolitico, erano capanne in legno, canne e fango, a pianta ovale. A partire dall’Antico Regno si hanno attestazioni di case in mattone crudo con cortile o patio centrale. La cittadina di el-Lahun, risalente al Medio Regno, fornisce uno straordinario esempio di insediamento pianificato a impianto ortogonale e offre preziosi esempi di case del ceto alto, medio e basso. Nel Nuovo Regno, l’alta densità di Tebe dovette portare a uno sviluppo verticale con case a più piani. Significativi sono, infine, i ritrovamenti di Akhetaten (Tell el-Amarna), la città fondata da Akhenaten e di Deir el-Medina. Si tratta di un villaggio operaio strutturato intorno ad un asse centrale, su cui sorgono strette case a schiera provviste di vestibolo, soggiorno, camera e cucina.

Bibliografia

Aufere S., Golvin J.CL., Goyon J.CL., L’Égypte restituée, Parigi, 1997; Badawy A., A History of Egyptian Architecture, Berkeley–Los Angeles, 1966-68; Bjetak M. (a cura), Haus und Palast im Alten Ägypten, Vienna, 1996; Choisy A., L’Art de bâtir chez les Égyptiens, Parigi, 1904; Donadoni S., L’Egitto, Torino, 1981.

Fonte: teknoring.com/


L’organizzazione sociale nell’antico Egitto

La società egizia era divisa in classi sociali chiuse, infatti non era possibile migliorare la propria condizione e passare da una classe all’altra; aveva una struttura gerarchica a forma piramidale. Al livello più basso c’erano gli schiavi. Al secondo livello gli operai e i contadini, che lavoravano per i privati o per i domini regi o i templi, con un contratto di lavoro registrato in un ufficio statale, che definiva esattamente le prestazioni cui i lavoratori si impegnavano e alle quali i datori di lavoro dovevano attenersi. Al terzo livello c’erano gli artigiani che erano liberi: falegnami, lavandai, fornai, vasai, muratori, commercianti e nelle città del Delta,  i marinai, che esercitavano il commercio marittimo verso Creta, Cipro, il Libano esportando e importando. Al quarto livello stavano i guerrieri che solo in caso di guerra erano aiutati dai contadini. Al quinto stavano gli scribi e coloro che sapevano leggere e scrivere. Dopo c’erano i nobili e i funzionari a cui il faraone dava da custodire le sue terre. Poi i sacerdoti e a capo di tutti c’era il Faraone.

Gli schiavi
Dapprincipio erano prigionieri di guerra, poi egiziani che non potevano pagare i tributi al faraone, e che per questo erano impiegati nelle grandi opere. Il Faraone era proprietario dello schiavo e poteva donarlo ai semplici cittadini. Gli schiavi vivevano miseramente e potevano essere trattati con estrema durezza. A volte venivano privati della lingua perché non si lamentassero o accecati per obbedire senza poter reagire agli ordini.

Il termine “schiavo” si può adoperare a partire dalla fine del Medio Regno (2040-1786 a.C.) e per tutto il Nuovo Regno (1552-1069 a.C.). Per lo più si trattava di stranieri che potevano ottenere la libertà se entravano a far parte dell’esercito. Ci furono anche casi in cui furono gli Egizi stessi, a causa della estrema povertà, a vendersi, e casi in cui la schiavitù era la condanna comminata per un crimine. Gli schiavi potevano essere venduti o dati in prestito. Se il loro padrone era buono venivano trattati bene e addirittura potevano sposarsi con un membro della famiglia nella quale avevano prestato servizio.

Gli operai e contadini
La maggior parte della popolazione egizia viveva in campagna, poiché l’agricoltura e l’allevamento del bestiame costituivano la base dell’economia. Erano la vera forza motrice dell’impero. I contadini potevano essere lavoratori autonomi oppure soggetti a un proprietario; in questo caso venivano anche ceduti o affittati, ma non perdevano i loro diritti di uomini liberi. Chi era padrone del proprio campicello, sul quale sorgeva anche una modesta dimora, pagava un tributo in natura, debitamente calcolato dagli scribi in base all’estensione, alla produttività, alla presenza di animali da cortile o da lavoro, di piante da frutto e di canneti. Chi lavorava la proprietà altrui (degli alti funzionari, del faraone e dei templi, che erano i maggiori detentori di proprietà fondiarie), aveva assicurati i bisogni essenziali e l’assistenza quotidiana. I contadini dovevano procurare al paese il frumento per il pane e l’orzo per la birra, le carni per la mensa, il lino per i tessuti, il papiro per le barche o come materiale scrittorio. Avevano a loro disposizione utensili semplici ma efficaci, come la marra, una sorta di zappa corta di legno per rimuovere il terreno, e l’aratro leggero.
La fatica del loro lavoro era notevolmente alleviata dalle benefiche inondazioni del Nilo, che lasciava sui campi il limo fertilizzante che non occorreva incidere in profondità. Ma nei mesi in cui il lavoro agricolo poteva essere interrotto i contadini erano obbligati a prestazioni personali
nei cantieri delle grandi opere volute dal faraone (canalizzazione, costruzione di templi e piramidi), dove lavoravano come impastatori di mattoni, trasportatori, scavatori, intagliatori di pietra.

I lavoratori erano organizzati in gruppi diretti ciascuno da un capomastro che teneva un minuzioso rendiconto dell’ andamento dei lavori e della gestione del personale. Orario, quantità di lavoro e compensi erano stabiliti con precisione. Il salario veniva versato giornalmente sotto forma di viveri e ogni dieci giorni, con razioni di unguenti (indispensabili per chi doveva lavorare sotto il sole). Vesti e sandali erano invece forniti periodicamente, secondo le esigenze. La retribuzione totale prevedeva comunque un saldo periodico sotto forma di lingotti di rame, equivalente della moneta. Una squadra di venti operai era affiancata da un guardiano, due manovali, due serve e un pompiere; inoltre, come ha scritto lo storico Jaques Pirenne: « un medico era addetto alla squadra a cui andava regolarmente a fare visita, in virtù di leggi sull’igiene del lavoro il cui testo non ci è giunto ma di cui sappiamo che riguardavano permessi di lavoro, precauzioni contro il caldo, mantenimento degli opifici, igiene del vestiario, alloggi, rifornimenti, ripartizione equa del lavoro ».

Era formalmente vietato il prolungamento dell’ orario di lavoro. La proprietà dell’ abitazione da parte degli operai era favorita da specifiche leggi e, da una certa epoca in poi, gli operai vennero esentati dal pagamento delle tasse sulla casa. Motivi di assenza dal lavoro (che non pare prevedessero detrazioni sul salario) potevano essere la malattia, il compleanno della madre, la lite con la moglie e persino la malattia dell’asino con il quale l’ operaio raggiungeva il luogo di lavoro. Il capomastro registrava tutto, ma spettava poi alla commissione composta dai rappresentanti dei lavoratori esaminare i diversi casi e prendere eventuali provvedimenti. L’attività di questi tribunali operai era comunque controllata dagli scribi statali che potevano denunciare al capo della polizia di zona eventuali irregolarità riscontrate. L’operaio che riteneva di aver subito una condanna ingiusta da parte dei suoi stessi colleghi giudici poteva appellarsi agli scribi, al capo della polizia o direttamente al faraone.

In occasione di uno di questi scioperi fu lo stesso Faraone Ramses II (XIII secolo a. C.) a doversi rivolgere agli operai e per convincerli a sospendere l’agitazione dovette accettare tutte le loro richieste: « Riempio per voi i magazzini di ogni cosa, di pani, di carni, di dolciumi, per il vostro sostentamento; di sandali, di vesti e unguenti abbondanti, in modo che vi ungiate il capo ogni dieci giorni, che ogni anno possiate rivestirvi […].
Non vi sarà nessuno tra voi che si coricherà afflitto dal bisogno »
. Davvero una civiltà superiore; bisogna quindi cancellare lo stereotipo di alcuni libri, film ed altro che ci hanno fatto credere che l’antico Egitto fosse popolato da turbe di schiavi costretti a costruire piramidi a suon di frustate. Uno stereotipo che difficilmente potrà essere cancellato, anche se gli egittologi lo hanno ampiamente messo in discussione. Diversi testi raccontano la vita del contadino nei campi allestiti ai piedi dei grandi monumenti: era tutto meticolosamente organizzato, con periodi di pausa predeterminati e la fornitura da parte dello stato del vitto, ma a parte questo era un lavoro durissimo e sfibrante.

I mercanti e gli artigiani
I mercanti avevano la possibilità di viaggiare lungo tutto il paese navigando sul Nilo e, in questo modo, diffondevano le mode e le tendenze della capitale, contribuendo a creare la civiltà egizia. Gli artigiani non erano ricchi, ma godevano di un certo benessere. La loro ricchezza consisteva nell’abilità con cui eseguivano il loro lavoro, quindi più erano capaci e meglio venivano pagati. Costruivano oggetti preziosi, lavoravano l’argilla, oggetti per coltivare, per misurare, ma anche per l’uso quotidiano delle famiglie. Nel generico gruppo degli artigiani rientravano pittori scultori, lapidari e carpentieri, ebanisti e orefici, gioiellieri e tessitori, metallurgici, conciatori, muratori, vetrai. Gli artigiani avevano un tenore di vita superiore a quello degli operai comuni e godevano di una certa considerazione da parte dei nobili. Lavoravano soprattutto nei palazzi reali e nei templi che erano sontuosi e adorni di statue ed affreschi. La scultura fu per eccellenza l’arte degli Egizi che curarono, soprattutto i volti perché pensavano che la perfezione del volto, nella statua, garantisse l’immortalità all’anima della persona ritratta. Gli scultori usavano seghe per tagliare i blocchi di pietra che riducevano poi nella forma e dimensione desiderata con lo scalpello.

La tessitura era un lavoro già noto prima dei faraoni e l’Egitto era famoso per i suoi tessuti di lino. Con piante e fili d’erba intrecciati si preparavano stuoie e cestini mentre con le canne si costruivano i mobili per la casa.
Nelle botteghe degli artigiani si producevano anche articoli di lusso come collane, bracciali, anelli con sigillo e i larghi collari in oro e perle usati sia dagli uomini che dalle donne. Per fare le collane si usavano pietre semipreziose come turchese, ametista e i lapislazzuli. Siccome non tutti potevano permettersi preziosi gioielli, si sviluppò la doratura e la fabbricazione di perle di ceramica e vetro molto meno costose e quindi adatte anche al basso ceto.

I guerrieri
In tempo di pace i soldati sorvegliavano il paese e venivano impiegati nei grandi lavori idraulici (bonifiche, costruzione di dighe) ed edili (costruzione di templi e piramidi). Per la loro importanza all’interno dello stato potevano godere di molti privilegi, riuscendo così a possedere molte terre e ad arricchirsi. Il faraone infatti li ricompensava per i loro servizi con la donazione di terre. Durante il Nuovo Regno i padri trasmettevano la propria carica ai figli e, con essa, le terre in loro possesso. Perciò si può dire che nell’antico Egitto la “casta” militare arrivò a costituire una vera e propria classe media durante il Nuovo Regno.

Gli scribi
Il grosso dell’amministrazione dello stato era svolto dagli scribi: cioè uomini capaci di leggere e scrivere. Tra di loro i meno fortunati trascorrevano la vita come scrivani o segretari di un funzionario di grado elevato. I più capaci invece, controllavano le persone e le merci alle frontiere. Altri erano agrimensori, cioè misuravano i campi dopo la piena del Nilo, che cancellava i confini tra i poderi. Altri avevano il compito di censire (cioè contare) il bestiame e misurare la quantità dei raccolti. Quasi tutti gli scribi, infine, avevano l’incarico di riscuotere le tasse. La professione di scriba era molto considerata ed è proprio grazie a loro se abbiamo potuto leggere quei testi che per generazioni gli allievi hanno ricopiato.

I nobili
Vivevano a corte accanto al Faraone e godevano delle cariche e dei titoli più importanti nel campo amministrativo. Quanti più titoli appaiono sulle stele funerarie e sulle tombe, tanto maggiore era la loro importanza nella società.
Anche le mogli degli alti funzionari egizi avevano numerosi titoli, soprattutto di carattere religioso, poiché il loro rango dipendeva di solito da quello dei mariti. Quella di visir era la più alta carica amministrativa. Il visir rispondeva soltanto al Faraone e nell’Antico Regno era di solito uno dei suoi figli.

I sacerdoti
Si occupavano dei templi ma erano anche funzionari e svolgevano ruoli di responsabilità in favore del Faraone: si occupavano di riscuotere le tasse e lavoravano a corte. Avevano compiti differenziati a seconda della loro anzianità di servizio. Durante la storia egiziana ebbero anche un’importanza politica perché alcuni sacerdoti del dio Amon si proclamarono addirittura sovrani del regno di Tebe. I sacerdoti erano conoscitori e interpreti del volere degli dei; venivano da famiglie nobili, conoscevano anche la scrittura e i numeri ed erano astronomi, ingegneri, matematici, geometri, medici. Godevano di un immenso prestigio ed erano anche ricchi e temuti. Si occupavano di tenere e amministrare il tesoro del tempio e per farlo utilizzavano propri funzionari. I sacerdoti erano chiamati “servi degli Dei”.
Il loro compito non era predicare al popolo; piuttosto loro dovevano rendere felici gli dei. Ogni divinità aveva il suo tempio nelle cui camere interne potevano accedere solo i vecchi sacerdoti e i Faraoni.

Il Faraone
Faraone significa grande casa, cioè reggia. Per gli Egizi era l’incarnazione di un Dio, rappresentava gli Dei sulla terra ed era il figlio vivente del capo degli Dei, Ra. Si credeva avesse anche poteri divini, uno dei quali era quello di comandare il Nilo. Ogni anno avveniva lo straripamento del Nilo che inondava i campi e il Faraone presenziava a questo momento. Doveva eseguire anche un altro rito importante: quello cioè di correre  su una pista per fare vedere al popolo che era ancora pieno di forze e quindi poteva ancora governare. Tra le sue funzioni, le più importanti erano quelle religiose anche se il Faraone era il capo dell’esercito, della giustizia e del governo. Fu il primo esempio storico di divinità impersonata da un sovrano
e fin dalle prime dinastie si sviluppò il concetto del faraone come unico intermediario tra gli uomini e le divinità e quindi unico sommo sacerdote.
Come tale era l’unica persona che poteva accedere alle cerimonie sacre
officiate nei templi ed officiava egli stesso vestito con una pelle di pantera.

La classe sacerdotale che eseguiva i sacri riti nei templi divini lo faceva su delega del faraone,che non poteva essere sempre presente. Alla sua morte si trasformava in Akh, saliva sulla barca di Ra e si trasformava in Osiride.
L’Akh indica la potenza del Dio che si esprime attraverso l’aspetto luminoso.
Akh viene rappresentato con il geroglifico dell’Ibis eremita. Garante dell’ordine cosmico ed incarnazione della Maat, dea della giustizia, il sovrano doveva provvedere a mantenere gli equilibri della natura e delle vicende umane secondo la volontà degli dei, che gli avevano affidato il mondo creato, con il fine di non farlo precipitare nel Caos. Senza il Faraone, popolo e dei sarebbero stati travolti dal Nun. Egli era il Signore delle acque e del Nilo, quindi ne controllava le inondazioni, proteggeva il mondo dalle malattie e dalle carestie e da lui dipendeva la prosperità dell’Egitto. Il concetto di divinità decadde nel periodo tardo dove il faraone non ebbe più il ruolo di mediatore con le divinità, ruolo che fu invece assunto direttamente dalle divinità locali.
La coronazione avveniva davanti alle immagini degli dei e con la proclamazione dei loro cinque nomi:
il nome Horo;
il nome Nebty (o “le Due Signore”);
il nome (Bik nebu) Horo d’oro;
il prenomen (Nesut bity) (o nome di trono);
il nomen (Sa Ra) (o nome personale);
gli ultimi due dei quali venivano iscritti nel cartiglio, originariamente un cerchio magico chiamato Shen. Con questa cerimonia il computo degli anni ripartiva da zero. L’incoronazione generalmente avveniva alla levata eliaca di Sirio con la quale iniziavano le piene del Nilo.
La levata eliaca di Sirio si verificava con una ciclicità di 365,25 giorni,
per cui essa ritardava nel calendario egizio di 365 giorni, di un giorno ogni 4 anni. Si aveva così che la levata eliaca della stella si verificava in uno stesso giorno (per esempio nel primo giorno del primo mese del calendario civile) ogni 1460 anni civili (365/0,25=1460).
Il fatto che i sacerdoti egizi tenessero conto dello spostamento della levata eliaca di Sirio nel calendario civile, ha consentito di ritrovare alcuni reperti archeologici nei quali fu segnalato l’evento astronomico in un particolare giorno del calendario civile e l’anno di regno del sovrano. Tra le numerose cerimonie officiate dal sovrano vi erano anche le riconferme ad ogni nuovo anno, le Heb-Sed e numerosi altri riti.
La Heb- Sed era la festa che celebrava il compimento del trentesimo anno di regno Il faraone era designato, oltre che con il titolo di “Sua Maestà”, anche con i titoli di “Sovrano delle Due Terre” >e “Supremo dominatore dell’Egitto”
mentre i simboli del potere regale erano la corona, lo scettro, il trono, la barba posticcia, l’Ureo, il gonnellino reale chiamato shendjut, e la coda di animale, generalmente di toro.
L’ureo era la rappresentazione del serpente cobra, sacro alla dea Uadjet venerata nel 19º distretto del Basso Egitto, una delle due divinità protettrici del sovrano; insieme alla barba posticcia l’ureo era uno dei simboli esteriori della regalità. Il simbolo dell’ureo, rappresentava la forza e la potenza del faraone, Posto sulla fronte del sovrano, svolgeva il suo compito di protettore
sputando fiamme contro i nemici.

La legittimità a governare era data dalla primogenitura o dall’essere stato generato dal dio Amon-Ra, unitosi ad una donna, come per Amenofi III, sotto le sembianze del suo sposo. Ma poteva avvenire anche per fatti prodigiosi avvenuti alla sua nascita, a sogni oppure oracoli divini come nel caso di Hatshepsut.
Durante l’Antico Regno i sovrani generalmente si univano con le principesse di Menfi per ragioni politiche e territoriali e, sempre per le medesime ragioni, successivamente sposarono anche le proprie figlie o sorelle.
A partire dal Nuovo Regno, invece, usarono unirsi anche con donne non nobili e principesse straniere.


Il tempio di Hatshepsut

Si trova nei pressi della Valle dei Re ed è dedicato al dio Amon-Ra. Hatshepsut, moglie di Tuthmosi II, era una donna ambiziosa e assunse il titolo di faraone. L’edificio è incastonato nella roccia calcarea ed è quindi visibile da lontano in tutta la sua maestosità. Al tempio di Hatshepsut si accede mediante una lunga rampa che ha origine da un cortile esterno. Dal punto di vista strutturale, si tratta di un tempio “a terrazze”, caratterizzato da tre livelli sovrapposti, ognuno dei quali sostenuto da imponenti colonne.

Le tre terrazze sono collegate tra di loro da scalinate. Il santuario principale, quello dedicato ad Amon, sorge sul livello superiore. Vi sono però due cappelle minori dedicate alla dea Hator e al dio Anubi. I bassorilievi e le statue del tempio celebrano il potere e l’origine divina di Hatshepsut. La sponda occidentale di Luxor è poi la sede della splendida Medinet Habu, un complesso templare anch’esso eretto a scopo funerario, dedicato del faraone Ramesse III. L’utilizzo dello stesso complesso per scopi diversi in epoche successive, e in particolare in epoca copta è tutt’oggi evidente nelle incisioni di scritte e croci sulle colonne, che sostituiscono i bassorilievi originari. La  posizione isolata del sito e quindi il silenzio in cui è immerso lo rendono un luogo quasi mistico.

Se volete conoscere di più della storia e della civiltà faraonica egizia grazie al nostro guida turistica parlante l`italiano che vi trasmettera`nell`epoca faraonica come se foste vivi in quell`epoca. Allora non perdete un`attimo per una prenotazione immediata per un Tour Egitto classico al cairo e luxor, Assuan, riuscirà a realizzare i vostri viaggi da sogno.


Luxor

Sulla sponda orientale, nel cuore della città moderna, sorge il Tempio di Luxor, voluto da Amenhotep III, ma successivamente completato e ampliato da Ramesse II. Anche qui, come a Madinat Habu sono ancora presenti i resti di un’occupazione successiva del luogo da parte greca e poi romana.

Al momento della sua costruzione il tempio era dedicato alla triade tebana Amon, Mut e Khonsu. Molto suggestivo il lungo viale che conduce al tempio, costeggiata da una doppia fila di sfingi. A sorvegliare l’ingresso del tempio ci sono oggi due delle sei colossali statue di Ramesse originariamente posizionate all’ingresso e uno solo dei due obelischi di granito. Il secondo è stato donato alla Francia nel 1830. Questo tempio è senza dubbio un elegante esempio di architettura monumentale egizia.


Karnak

Sulla stessa sponda sorge l’enorme complesso templare di Karnak. La struttura comprende tre recinti sacri, il più grande dei quali, quello centrale, è dedicato al dio Amon-Ra, al quale venne consacrato il Grande Tempio tutt’oggi presente. A sud è situato il recinto di Mut, la consorte di Amon, collegato al tempio maggiore da un viale di sfingi a testa di ariete, mentre a nord sorge il recinto di Montu, il dio-falco tebano. Il complesso ingloba, inoltre, una serie di templi minori. La parte piu impressionante della struttura è lo straordinario colonnato della grande sala ipostila centrale, costituito da 134 colonne di dimensioni colossali disposte su 16 file.

Non molto lontano da Luxor sorge, poi, la cittadina di Assuan, situata al confine con la regione dell’antica Nubia. Alcuni dei complessi templari della zona sono stati portati in salvo dalle inondazioni conseguenti alla costruzione della Diga Alta e ricostruiti pietra su pietra in luoghi sicuri nel corso di una rilevante operazione archeologica internazionale guidata da UNESCO.


Abu Simbel

Il tempio di Abu Simbel fu fortemente voluto e costruito da Ramses II per celebrare la sua vittoria contro gli Ittiti nella battaglia di Kadesh nel 1274 a.C.
Il tempio era dedicato a una serie di antiche divinità egizie come Ra-Horakhty, Ptah e Amon. Abu Simbel fu progettato dal faraone anche per essere una testimonianza del suo potere che non doveva mai essere intaccato dal tempo. Ecco perché le imponenti statue e il tempio stesso sono stati costruiti in pietra solida.

Ramses, inoltre (ok era anche un po’ megalomane, diciamocelo), non voleva che il suo tempio potesse essere distrutto dai futuri re e voleva rendere eterna la sua posizione di vero dio. Questa è anche una delle ragioni per cui i templi a lui e alla sua regina Nefertari furono collocati così lontano, a 280 km circa a sud di Assuan, vicino al confine con il Sudan attuale.

E i templi di Abu Simbel rimasero intatti davvero, anche se alla fine la sabbia li coprì, cancellando la loro memoria fino a quando nel 1813 l’archeologo svizzero Burckhardt (lo stesso che scoprì Petra in Giordania, tanto per capirci) lo ritrovò sotto la sabbia. I lavori per riportare Abu Simbel alla luce iniziarono finché l’archeologo italiano Giovanni Battista Belzoni nel 1817 entrò per la prima volta dentro il complesso.

Ancora oggi i templi di Abu Simbel soddisfano in pieno l’obiettivo di Ramses di vivere
per sempre.

Lo spostamento

Alla ricerca di un modo per eliminare il flagello delle inondazioni e della siccità, il governo egiziano negli anni ’60 si propose di costruire la massiccia Diga di Assuan. Di fatto, l’energia elettrica fornita e le garanzie contro le inondazioni del Nilo avrebbero aiutato il paese, ma il lago artificiale (lago Nasser) che si sarebbe creato dietro alla diga avrebbe spazzato via Abu Simbel.

Così nel 1964, il governo egiziano insieme all’UNESCO ha dato vita ad un’incredibile operazione e ha deciso lo spostamento di Abu Simbel, salvandolo dall’acqua del Nilo, 65 metri più in alto e 200 più indietro rispetto alla posizione originale. Aiutato dall’UNESCO ma anche da un’enorme squadra di nazioni, tra cui (lo scrivo con un po’ di orgoglio) l’Italia in primis, il possente e apparentemente inamovibile complesso dei templi è stato tagliato dalla montagna, suddiviso in blocchi numerati uno a uno, spostato e riassemblato con precisione millimetrica dove si trova oggi.

Abu Simbel si trova oggi al sicuro sulle placide rive del lago Nasser ed è questa una delle cose che secondo me lo rendono così speciale – Abu Simbel è la dimostrazione dei miracoli che possono essere compiuti con la cooperazione internazionale.

L’interno di Abu Simbel

Il complesso di Abu Simbel è costituito da due templi: l’impressionante tempio principale, il Grande Tempio dedicato al faraone e quello più piccolo dedicato a Nefertari, la sua adorata moglie.

Il Grande Tempio si erge a 30 metri di altezza e 35 metri di lunghezza e sulla facciata ospita quattro colossi del re Ramses II seduti sul trono.

All’interno del Grande Tempio ci sono geroglifici e disegni che raccontano le storie, le vittorie militari di Ramses II, la sua vita personale accanto alle rappresentazioni di antiche divinità egizie. L’intero complesso ha lo scopo di venerarlo, di affermare la sua posizione come qualcosa di diverso dall’uomo, e ci riesce. Anche 3000 anni dopo la sua costruzione, ci riesce.

il miracolo del sole

miracolo-del-sole

Il Santuario, la camera più intima del Grande Tempio con le 4 statue: qui due volte all’anno, il 22 febbraio e il 22 ottobre si verifica il “miracolo del sole”. L’allineamento del Sole sul Grande Tempio di Abu Simbel è uno dei casi dell’Antico Egitto. All’interno, attraversando la vasta sala rettangolare si raggiunge il Santuario, la parte più intima e segreta del tempio: una piccola stanza, quattro metri per sette, dove la statua del deificato Ramses II si trova insieme alla triade di Ptah (dio dell’arte e dell’artigianato), Amon-Ra (dio del sole e padre degli dei), e Ra (il falco con il disco solare). È in questo luogo che avviene il cosiddetto “miracolo del sole“.

Due volte l’anno, e solo in questi giorni, il sole che nasce penetra nel cuore della montagna e illumina le statue del santuario gradualmente, allagandole di luce. Ci vogliono circa venti minuti perché la luce passi. Secondo gli antichi egizi, i raggi del sole avrebbero ricaricato l’energia della figura del faraone. L’unica statua a non essere mai colpita dai raggi del sole è quella del dio Ptah, infatti, è anche il dio delle tenebre e dei morti.

Questo fenomeno, prima dello spostamento del tempio, avveniva in due date particolari: il 21 febbraio quando anticamente si festeggiava l’agricoltura e la stagione di coltivazione, e la seconda il 21 ottobre che celebrava la stagione delle inondazioni. Entrambe le date riflettevano anche la data della nascita di Ramses II e la sua incoronazione.

Dopo lo spostamento del tempio, questo fenomeno avviene con un giorno di ritardo: il 22 febbraio e il 22 ottobre. Il miracolo consiste nel fatto che generalmente il sole penetra solo parzialmente all’interno del tempio e non arriva ad illuminare le statue, se non in questi due particolari giorni.

Fonte: Menphis tour


Arte Egizia e architettura

Tipologie di capitelli egizi

L’Egitto conobbe uno sviluppo culturale molto più lineare e continuo rispetto alle altre civiltà mediterranee, svoltosi senza rotture nette o bruschi mutamenti dalla fine del IV millennio a.C. al I secolo a.C. Quando, a partire dall’XI secolo a.C., diverse potenze straniere si avvicendarono nel controllo della regione, gli apporti delle culture esterne vennero assorbiti in misura ridotta e rielaborati senza tradire i caratteri fondamentali della civiltà egizia. L’arte in ogni sua espressione era principalmente al servizio del faraone, considerato un dio in terra, o destinata alla decorazione di edifici pubblici e religiosi.

Fin dalle epoche più remote, la fede in una vita dopo la morte portò a seppellire i defunti con un corredo di beni materiali che assicurasse loro ogni agio anche nell’aldilà. I cicli naturali – le piene annuali del Nilo, il susseguirsi delle stagioni, l’alternarsi del giorno e della notte – venivano considerati espressione del volere degli dei (vedi Mitologia egizia); nel pensiero, nella morale e nella cultura era profondamente radicato un profondo rispetto per l’ordine e l’equilibrio. I cambiamenti e le innovazioni non erano incoraggiati; perciò anche lo stile e le convenzioni figurative dell’arte egizia, stabiliti agli albori di questa civiltà, rimasero pressoché inalterati per oltre tre millenni.


Antico Regno

L’arte egizia dell’Antico Regno

La scrittura a geroglifici, con cui si esprimeva la lingua egizia, si trovava allora nello stadio iniziale della sua evoluzione. Durante la III dinastia, l’architetto Imhotep costruì per il faraone Zoser (2737 ca. – 2717 ca. a.C.) a Saqqara, nei pressi della capitale Menfi, un intero complesso funerario composto da un gruppo di templi ed edifici annessi, e dalla grande piramide a gradoni nella quale fu deposto il corpo del re: quest’ultima è forse il più antico esempio conservatosi di architettura monumentale e una delle prime versioni della tipica piramide egizia. Le piramidi di Giza, in cui furono sepolti i faraoni della IV dinastia, testimoniano la perizia ingegneristica degli architetti egizi, capaci di edificare monumenti che sono ancora oggi considerati fra le meraviglie del mondo. La grande piramide di Cheope raggiungeva originariamente l’altezza di 147 m ed era formata da circa 2.300.000 blocchi di pietra del peso medio di 2,5 tonnellate ognuno. Oltre che dalla piramide, ogni impianto funerario era costituito da un tempio a valle, una strada d’accesso e un tempietto o una cappella in cui venivano celebrati i riti religiosi in onore dello spirito del faraone. Intorno a Giza – dove si trova, oltre alle piramidi di Cheope, Chefren e Micerino, anche la nota Sfinge – si sviluppò una necropoli formata da numerose mastabe (termine antico che significa “panche in mattoni d’argilla”), cioè tombe a tronco di piramide, con tetto piatto e pareti a scarpata, chiamate così per la loro somiglianza con le panche allora poste di fronte alle case. Le mastabe erano riservate ai membri della famiglia reale, agli alti ufficiali, ai cortigiani e ai funzionari: per la maggior parte avevano un pozzo perpendicolare che conduceva alla camera funeraria, contenente la mummia e il corredo funerario. In epoche successive, alla tomba costruita in conci di pietra subentrò un’altra tipologia, quella della sepoltura scavata direttamente nella roccia. Dalla disposizione delle tombe di Giza e Saqqara si deduce il modello urbanistico al quale i costruttori si erano ispirati. Poco si conosce invece dell’architettura domestica dell’Antico Regno, poiché le abitazioni comuni e i palazzi erano costruiti in adobe e non si sono conservati. Le testimonianze più interessanti sui costumi e le condizioni di vita degli antichi egizi derivano quindi dai templi e dalle tombe, realizzati in pietra e destinati a durare.

Rispetto al periodo dinastico antico, la scultura egizia conobbe nell’Antico Regno una rapida evoluzione: fin dal tempo di Zoser, tipiche furono le grandi statue dei faraoni, che si credeva ne ospitassero lo spirito. La tecnica ricorrente prevedeva che il blocco di pietra venisse dapprima squadrato fino ad assumere la forma di un parallelepipedo, quindi sbozzato sul lato frontale e sui due laterali secondo la figura umana da rappresentare: la scultura che ne risultava era pensata per essere osservata frontalmente. Dovendo creare un’immagine atemporale ed eterna della persona ritratta, l’artista non era interessato a una descrizione naturalistica della sua fisionomia: inoltre rappresentava la figura perlopiù in piedi, bloccata in una posizione statica, anche quando la situazione evocata doveva essere di movimento. L’anatomia umana era nota, ma veniva tradotta in forma astratta; le immagini dei regnanti, in particolare, venivano idealizzate e caricate di una grande dignità. Una statua in diorite di Chefren (2530 ca. a.C., Museo egizio, Il Cairo), il faraone per il quale fu costruita la seconda grande piramide di Giza, riassume tutte le caratteristiche tipiche del modo di rappresentare i sovrani nell’Antico Egitto: il re è assiso su un trono decorato da un emblema delle terre riunificate, con le mani sulle ginocchia, il capo eretto e lo sguardo rivolto lontano. Il falcone del dio Horus posto alle sue spalle simboleggia che egli è “Horus vivente”. I volumi sono compatti, quasi geometrici, e tutte le parti della figura sono bilanciate, dando vita a una potente immagine di regalità divina. I personaggi della famiglia del faraone e gli alti dignitari potevano venire raffigurati anche in gruppi scultorei, insieme a congiunti e consanguinei ancora viventi. Le statue erano in pietra, in legno e raramente in metallo, e venivano dipinte; gli occhi erano fatti con altri materiali, come il cristallo di rocca, e incastonati nella statua per aumentarne l’effetto di verosimiglianza. Le sculture ritraevano quasi esclusivamente persone altolocate; talvolta venivano rappresentati anche personaggi umili intenti a preparare il cibo o a svolgere attività artigianali, in statue da deporre nella tomba degli aristocratici, quale immagine imperitura della loro servitù. Se i rilievi sui muri dei templi dovevano perlopiù glorificare il re, quelli nelle camere interne delle tombe rappresentavano gesti e cose gradite allo spirito del defunto, che lo accompagnassero nella vita dell’aldilà. Spesso si tratta di scene in cui il defunto prende parte o sovrintende a varie attività, come quando era in vita. Il tipico metodo di raffigurazione bidimensionale della figura umana, sia scolpita sia dipinta, fu dettato dall’intento di cogliere l’essenza della persona; combinava la rappresentazione di profilo del capo e della parte inferiore del corpo a un’immagine frontale del torso, offrendo così la descrizione più chiara di ogni parte. Questa regola era sempre adottata nei ritratti dei re e dei membri della nobiltà; mentre per i servitori e i lavoratori dei campi erano concesse variazioni e interpretazioni più libere. Per completare l’effetto di verosimiglianza i bassorilievi venivano colorati e alcuni dettagli aggiunti solo a pennello; abbiamo anche testimonianze, risalenti all’Antico Regno, di rare decorazioni non scolpite, ma interamente affrescate. Dai bassorilievi funerari si possono trarre molte indicazioni relative alla vita e ai costumi egizi; vi sono illustrati i metodi per allevare il bestiame, le varietà dei cibi e i modi per prepararli, la cattura degli animali selvatici, la costruzione delle navi e diverse attività artigianali. Le immagini erano disposte sulle pareti in bande orizzontali, o registri, e dovevano essere lette come narrazioni di eventi ricorrenti, ciclici.

Le ceramiche riccamente decorate del periodo dinastico antico lasciarono il posto nell’Antico Regno a manufatti di fine fattura privi di ornamentazione, spesso con la superficie brunita, elaborati in una grande varietà di forme. La ceramica era materiale utilizzato per tutti i tipi di recipienti, sia per quelli impiegati per mangiare e bere, sia per quelli di grandi dimensioni destinati a conservare cibi o bevande, come ad esempio la birra. I gioielli erano in oro e pietre dure, ornati di quei motivi zoomorfi e vegetali ai quali si ispirarono sempre, in tutta la loro storia, le arti decorative egizie. Ci sono giunti ben pochi esempi di mobili del tempo, ma dalle pitture tombali si desume che sedie, letti, sgabelli e tavoli fossero di forma piuttosto essenziale, decorati a motivi vegetali e con gambe terminanti con una parte scolpita a foggia di zampa animale. Al termine della VI dinastia il potere centrale si era indebolito; i governatori locali presero a farsi seppellire nelle rispettive province invece che nei pressi dei complessi funerari del loro re. Risale a quest’epoca la più antica statua in metallo conservatasi, una figura in rame (Museo egizio, Il Cairo) di Pepi I, che regnò dal 2395 ca. al 2360 a.C.

Fonte: www.aton-ra.com


Il Medio Regno

Il cosiddetto “primo periodo intermedio” (dalla VII alla X dinastia) rappresentò un’epoca di generale confusione e anarchia; si tentò di tenere in vita le tradizioni artistiche dell’Antico Regno, ma, fino al momento in cui i potenti signori di Tebe riunirono nuovamente il paese, le manifestazioni del gusto estetico e decorativo non eguagliarono il vigore del periodo precedente. Mentuhotep II, faraone dell’XI dinastia che regnò dal 2061 al 2010 a.C., fu il primo sovrano del Medio Regno unito; promosse un nuovo stile nei monumenti funerari, in parte ispirato ai complessi piramidali dell’Antico Regno. Nella valle sulla riva sinistra del Nilo, a Tebe, fece costruire una serie di templi disposti lungo la strada lastricata che conduceva a un santuario; quest’ultimo era posto su una piattaforma scavata nel fianco della montagna e recava scolpita sui suoi muri l’immagine del faraone in compagnia degli dei.

L’architettura del Medio Regno non è degnamente rappresentata dagli esempi conservati. Notevole è solo un piccolo edificio, risalente al periodo di Sesostri I (che regnò dal 1962 al 1928 a.C.) della XII dinastia, venuto alla luce fra i templi di Karnak. Si tratta di una sorta di cappella, corrispondente a una stazione della processione del battello sacro: la sua struttura cubica, realizzata con un sistema complesso di pilastri e architravi, è caratterizzata da purezza di linee e proporzioni armoniose. Alcune parti sono decorate da fini rilievi con immagini del re e delle divinità.

Nella scultura del Medio Regno viene spesso riconosciuta un’inedita tendenza realistica. Se le prime opere di questo periodo imitavano ancora da vicino lo stile dell’Antico Regno, nell’intento di ripristinare le antiche tradizioni, la scultura della XII dinastia rivela un certo interesse nei confronti della realtà. Le statue ben caratterizzate dei faraoni Amenemhet III e Sesostri III sono molto differenti da quelle dei loro predecessori, idealizzate e in tutto assimilabili alle astratte rappresentazioni delle divinità. Ora, il viso dei personaggi ritratti esprime la loro indole e la loro determinazione, e al di sotto delle superfici levigate si intuisce una struttura anatomica particolare, che produce un effetto di verosimiglianza del tutto nuovo nell’arte egizia.

L’abitudine, diffusa tra i funzionari del faraone, di costruire monumenti funerari nei centri delle regioni da essi controllate, piuttosto che nella capitale del regno, perdurò a lungo. Alcune di queste tombe furono ornate da rilievi simili a quelli di Assuan, mentre nel Medio Egitto molte furono semplicemente affrescate, a opera di artigiani locali che tentavano di uniformarsi agli stili ufficiali. Vi compaiono talora nuovi motivi pittorici, ma in genere la scelta dei soggetti e lo stile sono ispirati ai modelli più antichi. Dipinte erano anche le decorazioni dei sarcofagi rettangolari in legno caratteristici di quest’epoca.

Risalgono al Medio Regno oggetti preziosi e raffinati, tra i quali spiccano i gioielli realizzati con metalli preziosi e intarsiati con pietre policrome. La terracotta invetriata conobbe largo impiego nella produzione di amuleti e figurine.

L’epoca della XIII dinastia fu caratterizzata dall’avvicendarsi di governanti deboli, che regnarono ciascuno per pochissimo tempo (se ne contano circa 50 nell’arco di centoventi anni). Durante il cosiddetto “secondo periodo intermedio” (dalla XIV alla XVII dinastia) il paese fu nuovamente diviso. Gli hyksos, invasori stranieri originari dell’Asia occidentale, penetrarono in Egitto e ne divennero i signori. A loro si deve l’introduzione nella regione di nuove conoscenze tecnologiche, grazie alle quali la civiltà egizia poté di lì a poco tornare a svolgere un ruolo dominante nel Mediterraneo orientale.

L’arte egizia del Nuovo Regno

Nel XVI secolo a.C. da Tebe ripartì la lotta per la riunificazione, che portò alla cacciata degli occupanti hyksos e al ripristino di un unico potere regale. Il Nuovo Regno (1580-1085 a.C.), iniziato con la XVIII dinastia, rappresentò un periodo di grande ricchezza e potenza per l’Egitto; il commercio con l’estero si intensificò e si moltiplicarono le conquiste.

I re della XVIII, XIX e XX dinastia promossero grandemente l’architettura religiosa. Riportata la capitale a Tebe, il dio locale Ammone divenne la principale divinità egizia. Quasi tutti i faraoni del Nuovo Regno commissionarono nuovi templi e costruzioni a Karnak, centro del culto di Ammone, contribuendo così a creare uno dei più imponenti complessi religiosi della storia. Grandiosi portali, cortili colonnati e sale sorrette da colonne polimorfe, decorate con obelischi e statue, erano sfarzosa testimonianza del potere del re e dello Stato. Sulla riva sinistra del Nilo, nei pressi della necropoli di Tebe, sorsero numerosi templi per il culto dei defunti. Durante il Nuovo Regno le spoglie dei faraoni vennero deposte nelle tombe scavate nella roccia dell’arida Valle dei Re; all’ingresso della valle sorgevano vari edifici religiosi, tra cui si distingue il tempio funerario (1478 ca. a.C.) della regina Hatshepsut a Dayr el-Bahri. Costruito dall’architetto reale Senemut e collocato sulle alte sponde del Nilo nei pressi del tempio di Mentuhotep II, faraone dell’XI dinastia, era una struttura terrazzata dotata di numerosi altari e ornata di rilievi che illustravano le imprese di Hatshepsut. Altri faraoni vollero costruire i propri templi più in basso, sui terreni coltivati. Diverse tombe furono scavate nelle pendici rocciose della Valle dei Re, nel tentativo – non sempre riuscito – di celare le sepolture reali. I lunghi e ripidi corridoi, le scale e le camere funerarie erano decorati con bassorilievi e affrescati con scene ispirate a testi religiosi (vedi Letteratura egizia): tali immagini dovevano proteggere e aiutare lo spirito nella nuova vita. Il faraone della XIX dinastia Ramesse II fece edificare il gigantesco tempio rupestre di Abu Simbel in Nubia, nel sud del paese, addossato alla montagna e presidiato da quattro colossali statue del re. Tra il 1963 e il 1972, per impedire che tali superbi resti dell’antica civiltà egizia venissero sommersi dalle acque raccolte dalla nuova diga di Assuan, si smontò l’intero complesso e lo si ricostruì a una quota superiore. Come nelle epoche precedenti, anche nel Nuovo Regno le dimore comuni e i palazzi dei nobili erano in adobe. I reperti conservati rivelano che le case aristocratiche si articolavano in più stanze, con pavimenti, mura e soffitti dipinti. Gli esponenti dei ceti benestanti abitavano sovente in piccole tenute, con edifici residenziali e altri di servizio, circondate da un recinto. Si sono scoperti anche resti di modeste abitazioni comuni, raggruppate in villaggi del tutto simili a quelli dell’Egitto moderno.

Durante il Nuovo Regno la scultura raggiunse altissimi livelli di precisione tecnica e qualità artistica. La severa stilizzazione dell’Antico Regno e il realismo del Medio Regno furono abbandonati a favore di uno stile raffinato, di tono nobile e sostenuto, e al contempo attento alla delicatezza dei dettagli e alla grazia della linea. Inaugurato durante i regni di Hatshepsut e Tutmosi III, questo stile raggiunse la piena maturità all’epoca di Amenofi III, che diede inizio ai lavori per il tempio di Luxor. L’arte del periodo di Akhenaton, figlio di Amenofi III, riflette i cambiamenti nella religione ufficiale voluti dal faraone: unico dio degno di venerazione, e di conseguenza di rappresentazione artistica, era adesso Aton, il sole. Akhenaton favorì un’arte realistica e dapprincipio in certe manifestazioni perfino caricaturale, che si sviluppò tuttavia nel tempo in forme più eleganti, conservando una forte carica espressiva. Ne è esempio il famoso busto in calcare dipinto (1365 ca. a.C., Staatliche Museen, Berlino), ritratto di Nefertiti, la regina sposa di Akhenaton.

Se gli edifici religiosi erano ornati soprattutto con elaborati ed estesi bassorilievi, durante il Nuovo Regno la decorazione delle tombe private fu affidata principalmente alla pittura. I resti di affreschi rinvenuti nella necropoli di Tebe, riproducenti scene della vita del tempo, costituiscono una ricca fonte di informazioni sul graduale mutamento della tradizione pittorica. Rispetto alla scultura, si nota una maggiore libertà rappresentativa e un più consapevole realismo, sia nella resa delle espressioni e delle fisionomie dei soggetti, sia nella raffigurazione delle molteplici attività economiche, commerciali e artigianali (notevole la descrizione dei vivaci empori fluviali e delle botteghe dei villaggi). Anche i riti funebri erano illustrati nei minimi dettagli, dalla processione alla cerimonia della deposizione della tomba. Uno dei motivi caratteristici delle pitture tombali tebane, i cui primi esempi risalgono ancora all’Antico Regno, è la rappresentazione del defunto nell’atto di cacciare e pescare tra i papiri, passatempi ai quali lo spirito avrebbe potuto dedicarsi nell’eternità.

Le arti decorative del Nuovo Regno conobbero uno sviluppo qualitativo analogo a quello della scultura e della pittura. Gli oggetti di uso comune destinati alla corte del faraone e alla nobiltà erano di raffinata fattura, come testimonia il corredo funerario ritrovato nella tomba di Tutankhamon nel 1922: notevoli i pezzi realizzati con materiali preziosi magistralmente combinati, alabastro, ebano, oro, avorio e pietre dure. Anche la ceramica del Nuovo Regno rivela grande perizia tecnica e cura nella decorazione, segnando l’affermarsi di uno stile basato sull’uso di colori brillanti e sulla predilezione per i motivi floreali.

Fonte: www.aton-ra.com/


NEFERTITI la sposa del Sole

Nefertiti, la moglie del faraone Akhenaton è senz’altro uno dei personaggi più affascinanti del Nuovo Regno [Il nuovo regno (1580-1085 CA. A.C.)] e di tutta la storia egizia. Molto si è discusso sulla bellezza di Nefertiti, sulle sue origini e recentemente alcuni hanno perfino messo in dubbio l’autenticità del famoso ritratto (con porchi argomenti convincenti).

Nefertiti, la sposa del Sole – Donne al potere – Christian Jacq: Le Donne dei faraoni

Nefertiti – Un viso sublime

Nefertiti Chi non ha avuto occasione di contemplare, sfogliando un libro o una rivista, il meraviglioso viso di Nefertiti, e chi non è rimasto meravigliato da tanta grazia, bellezza e maestà? Non ci sono parole per descrivere questa donna dalla splendente nobiltà, il cui sorriso è animato da una luce interiore che, attraverso i millenni, riesce ancora a toccarci il cuore. “Signora della felicità, dal viso luminoso,” dice di lei il testo di una stele-cippo della città di Aton “gioiosamente ornata della doppia piuma, dotata di tutte le virtù, alla cui voce ci si rallegra, dama piena di grazia, grande nell’amore, i cui sentimenti fanno la felicità del signore dei Due Paesi.”
Di Nefertiti ci sono giunti due ritratti. Il primo, conservato al Museo del Cairo, fu scoperto dall’inglese Pendlebury durante la campagna di scavo del 1932-33, nel sito di el Amarna. Questa testa scolpita, con le pupille non incastonate, che doveva far parte di una statua, è carica di intensità spirituale: una vera seguace della luce che contempla la divinità, al di là del mondo delle apparenze. Nessuna iscrizione permette di identificarla formalmente con Nefertiti, benché gli storici dell’arte siano concordi nel riconoscervi la sposa di Akhenaton.
Il famoso busto di Nefertiti esposto al Museo di Berlino è una piccola scultura alta cinquanta centimetri. Fu ritrovato ad Amarna, il 6 dicembre 1912, da una squadra tedesca diretta da Ludwig Borchardt. Il luogo della scoperta è singolare: la bottega dello scultore Thutmosi. Quest’affascinante capolavoro, in realtà, è soltanto un modello incompiuto, lasciato a metà dall’artigiano quando partì per Tebe. La particolarissima corona indossata da Nefertiti sui bassorilievi amarniani permette di identificarla con sicurezza. La sottigliezza del collo, la purezza del viso, la dolcezza e la serenità dell’espressione testimoniano l’abilità dello scultore e la bellezza della regina.

Le origini di Nefertiti

Il nome Nefertiti significa “la bella è arrivata”. Alcuni egittologi supposero che la regina Nefertiti fosse di origine straniera, ma non è così. Il suo nome è tipicamente egizio e si riferisce, come vedremo, alla sua funzione divina.
Nefertiti era forse figlia di Amenhotep III e di Tiy? Nulla conferma l’ipotesi. Dato che nessun testo rivela i nomi dei genitori della grande sposa reale di Akhenaton [Akhenaton e Nefertiti], la cosa più saggia è convenire che fosse una dama di corte, forse la figlia di un grande dignitario come Ay, che diventerà faraone alla morte di Tutankhamon. E nulla impedisce di pensare che Akhenaton abbia deciso di sposare una bellissima fanciulla senza dote. C’è un’unica certezza: la nutrice di Nefertiti si chiamava Tiy, come la grande sposa reale di Amenhotep III, e questa Tiy sposò Ay.

La dea Nefertiti

La lettura esatta di Nefertiti è Ncferet-Ity, “la bella è arrivata”. Questa “bella” è la dea lontana che, dopo aver lasciato il Sole creatore, è partita per il deserto della Nubia. Senza di lei le Due Terre sono condannate alla sterilità e alla desolazione. Grazie all’intervento degli dei, in particolare di Thot e di Shu, la dea lontana ritornerà in Egitto, e la natura e tutti gli esseri viventi conosceranno di nuovo la felicità.
Nefertiti è l’incarnazione di questa dea che viene o, più esattamente, che ritorna per elargire il suo amore al faraone, affinché risplenda come un Sole. Amore celeste e Maat, la Regola eterna, al tempo stesso, ella ricrea la luce e protegge il re incaricato di farla risplendere sulla terra. Tale era, del resto, il ruolo fondamentale di tutte le regine d’Egitto. Poiché il culto del momento era imperniato su Aton, Nefertiti si chiamava anche “perfetta è la perfezione di Aton”. Grazie a lei sorgeva il disco del Sole, il cui amore per la regina raddoppiava al momento del tramonto. Nel grande tempio di Aton si trovavano alcune statue della dea Nefertiti alle quali venivano rivolte preghiere perché ella continuasse a rendere rigogliose le Due Terre. Volendo affermare la potenza della luce di Aton, Akhenaton trascurò i misteri di Osiride. Bisognava pure, però, che i riti di resurrezione venissero compiuti e, in particolare, che le quattro dee poste agli angoli del sarcofago reale (fra cui Iside e Nefti) recitassero le litanie magiche. Fu Nefertiti a prendere il loro posto.
La scena di adorazione della tomba di Ipy vede riuniti, secondo il rituale amarniano, il re, la regina e la loro figlia nell’atto di venerare il Sole divino i cui raggi terminano con mani che trasmettono la vita. C’è un particolare sorprendente: Nefertiti innalza verso Aton un vassoio, sul quale si trovano i nomi degli dei iscritti in un cartiglio, e una statuetta di una regina seduta, che rivolge una preghiera a questi nomi divini, una regina che è Nefertiti stessa! E chiaro che si tratta della rappresentazione di una Nefertiti divinizzata, il Sole femminile che dona la vita.

Nefertiti, regina faraone?

In alcune iscrizioni il patronimico del re non è seguito dal suo nome, ma da quello della regina, come se, insieme, formassero un solo nome, un’unica entità reale i cui due elementi sono indissociabili. Nessuna attività sacra poteva essere compiuta senza la presenza di Nefertiti. La coppia reale era formata da due personalità di uguale importanza di fronte al dio Aton; il re e la regina gli rivolgevano le stesse preghiere, gli consacravano le stesse offerte, facevano salire verso di lui la stessa fumata d’incenso. Queste scene di adorazione alquanto ripetitive, che ornavano le pareti dei templi e delle tombe costituendo il “programma” simbolico del regno, sono particolarmente numerose. Di solito il faraone appariva da solo sul carro. Nella sua nuova capitale Amarna, sotto gli occhi di tutti, Akhenaton bacia teneramente la sua bella sposa alla luce del Sole. Sul carro compare un altro personaggio: una delle figlie della coppia reale che, mentre i genitori si baciano, contempla estasiata i cavalli, la cui testa è ornata da grandi piume multicolori.
In occasione dell’investitura del visir Ramose, mentre la coppia reale abitava ancora a Tebe, Nefertiti partecipò alla cerimonia e si affacciò alla “finestra delle apparizioni” per congratularsi con il grande dignitario. Nella città di Aton, troneggiante a fianco del monarca, Nefertiti ricevette gli ambasciatori d’Asia e della Nubia, venuti a presentare i loro tributi al faraone.
Possiamo ipotizzare che Nefertiti sia stata qualcosa di più di una regina e che abbia regnato da sola? La corona particolare che porta, piuttosto simile a quella rossa del Basso Egitto, sembra far propendere per questa ipotesi. Grande sacerdotessa del culto di Aton, Nefertiti disponeva di uno spazio sacro particolare, “l’ombra di Ra”. E probabile che il re presiedesse il culto del mattino e la regina quello della sera. Da sola, Nefertiti poteva presiedere i rituali e presentare le offerte ad Aton.
La regina Nefertiti godeva del notevole privilegio di spostarsi sul suo carro personale munito, come quello del re, di arco e frecce. Un bassorilievo conservato al Museum of Fine Arts di Boston presenta un particolare ancora più sorprendente: a bordo di una barca reale, Nefertiti, con la corona in testa, afferra un avversario per i capelli e lo colpisce con la sua mazza, assurgendo così a simbolo della vittoria dell’ordine sul caos. Normalmente, solo il faraone regnante compie questo gesto rituale, che si ritrova su un bassorilievo di Karnak [Karnak-Tebe-Luxor].
Secondo alcuni egittologi questo insieme di indizi autorizza a concludere che Nefertiti, come Hatshepsut, fu una regina faraone. L’ipotesi diventerebbe certezza se si riuscisse a provare che la regina sopravvisse ad Akhenaton e che cambiò nome per regnare da sola come Smenkhakara, ma la documentazione è troppo scarsa e troppo confusa perché si possa trarre, allo stato attuale dei fatti, una conclusione definitiva.

Quando Nefertiti insignì una donna di un’onorificenza

La coppia reale era solita ricompensare i propri fedeli, i quali si presentavano davanti al palazzo, alla cui finestra si affacciavano Nefertiti e Akhenaton, con il capo cinto dalla corona. Nefertiti poteva celebrare da sola questo rito e, cosa ancora più importante, la beneficiaria poteva essere una donna che, come nel caso di Meretre, non veniva accompagnata dal marito. Per l’occasione Meretre, “l’amata dalla luce divina”, si è fatta bella: truccata con cura, indossa un’imponente parrucca, sormontata da un cono di profumo, e una lunga veste trasparente che lascia indovinare forme conturbanti. È assistita da un gran numero di serve e servitori che portano vasi, fiori e strumenti musicali. Il luogo in cui si svolge la scena è incantevole, perché il palazzo della regina si trova nel cuore di un giardino ricco di alberi e di viti. Mentre le sue compagne si prosternano davanti a Nefertiti, riparandola così dalla vista altrui, una delle serve approfitta della situazione per bere una coppa di vino. Alcuni bambini, rimproverati da un guardiano che tiene in mano un bastone, sono riusciti a intrufolarsi nella cerimonia che, per quanto ufficiale, non ha niente di gelido. Dopo aver ricevuto una collana d’oro, Meretre viene riaccompagnata a casa da un parente che le tiene la mano, mentre le sue amiche la seguono. A casa sua si terrà un allegro banchetto per festeggiare l’onorificenza.

Le figlie di Nefertiti e di Akhenaton

La famiglia reale La fase più importante del culto di Aton era la celebrazione della luce da parte della famiglia reale. Nell’immenso cortile del grande tempio di Aton il re e la regina consacravano offerte alimentari su un grande altare, al quale si accedeva per mezzo di una rampa. Akhenaton e Nefertiti stavano uno accanto all’altra, su una sorta di pedana, circondati dalle figlie, da alti dignitari, ritualisti, dame di corte. Tutti i presenti erano raccolti in silenzio, per ricevere l’illuminazione solare nel loro cuore.
Si sono conservate alcune scene che, del tutto eccezionalmente per l’arte egizia, ci permettono di entrare nell’intimità della famiglia reale. Vediamo così Nefertiti allattare una delle figlie, lasciarsi accarezzare il mento da un’altra, tenerle sulle ginocchia, seduta a propria volta su quelle di Akhenaton. Assistiamo anche al pasto della famiglia reale, vestita con molta semplicità.
Akhenaton e Nefertiti vogliono dare piena evidenza al fatto che sono una famiglia felice e radiosa grazie all’energia che procura loro ogni giorno il dio Aton. Quello che propongono è un modello ideale, fondato sulla venerazione della luce, motivo per cui le bambine sono rese partecipi degli atti di culto.
La coppia Nefertiti – Akhenaton ebbe sei figlie: tre prima dell’anno 6 e tre fra l’anno 6 e l’anno 9 del regno. E detto esplicitamente che sono tutte figlie della grande sposa reale Nefertiti. Poco dopo l’anno 12 del regno, un crudele evento doveva mettere a dura prova la coppia reale: la morte di Meketaton, la seconda figlia. Per questa famiglia che faceva della propria unità la dimostrazione dell’influenza benefica di Aton, si trattò di una lacerazione profonda. Si dovettero celebrare i riti funebri e procedere alla sepoltura nella tomba di famiglia; una scena mostra Akhenaton e Nefertiti in lacrime davanti al letto funebre.
La morte di Meketaton minò irrimediabilmente il bell’edificio che la coppia solare aveva costruito. Nefertiti, che ne fu profondamente afflitta, morì a sua volta forse poco dopo. Interpretando con realismo le immagini delle bambine, alcuni egittologi ritennero che il loro cranio allungato fosse la traduzione estetica di una qualche malattia. “Estetica” è la parola giusta: in diverse scene, infatti, tutti i personaggi sono rappresentati con questa stessa deformazione. Alcune sculture ritrovate ad Amarna, in compenso, ci mostrano dei visi “classici”. Non è dunque il caso di pensare a una patologia.
Sei figlie… e nemmeno un figlio? Alcuni eruditi vorrebbero fare di Thutankhamon, i cui genitori sono ignoti, il figlio di Akhenaton e Nefertiti, ma non c’è nessun indizio a sostegno di quest’ipotesi.

La scomparsa di Nefertiti

Sulla morte di Nefertiti [Nefertiti – Ritratto di una regina 1, 2] sono stati scritti veri e propri romanzi, talvolta con la parvenza di opere di egittologia “seria”. Si è parlato di una rottura fra Akhenaton e Nefertiti, dell’isolamento di quest’ultima in un palazzo della città del Sole, del suo schieramento alla testa di un partito d’opposizione e via di questo passo. Ignoriamo la data della morte di Nefertiti, come pure le circostanze in cui essa avvenne. Tutt’al più si può ammettere che sia morta prima di Akhenaton. Una delle figlie della coppia solare, Meritaton, sposò simbolicamente suo padre, ma ciò non basta a provare che Nefertiti fosse morta. Quando quest’ultima era ancora in vita, infatti, Meritaton, “l’amata da Aton” [La nuova fede: Aton], era già considerata il terzo elemento della trinità sacra formata dal padre, dalla madre e dal figlio. Meritaton partecipa a numerose cerimonie, durante le quali, camminando dietro al padre, scuote un sistro per allontanare le influenze negative. Occupando un palazzo personale nella città del Sole, la fanciulla sembrava destinata alle più alte funzioni e ricevette il titolo di “grande sposa reale”. Ma scomparve piuttosto in fretta dalla scena pubblica e non sappiamo se sia morta giovane o se abbia deciso di ritirarsi dalla vita politica.
C’è, poi, un altro enigma: il nome di Nefertiti si ritrova, in parte, nella titolatura di Smenkhkara, l’effimero monarca che Akhenaton associa al trono prima di morire. È Nefertiti diventata faraone con un altro nome, oppure è il doppio simbolico di Akhenaton o, ancora, è un dignitario della città del Sole scelto come successore?

Dove venne sepolta Nefertiti?

Probabilmente la regina Nefertiti venne sepolta nella grande tomba riservata alla famiglia reale e situata piuttosto lontano dalla capitale, in un luogo desertico, tomba che gli archeologi trovarono devastata e saccheggiata.
La mummia di Nefertiti è quella che si trova nella tomba n. 55 della Valle dei Re? I nomi sono stati distrutti e il viso preso a martellate. Si tratta di Akhenaton, di Smenkhkara, della regina Tiy o di Nefertiti? Tante domande che non hanno ancora trovato risposta.
Nefertiti, la sposa del Sole, continua a esercitare il suo fascino; ammirando i suoi ritratti, come si può non pensare alla sua voce melodiosa, che cantava l’onnipotenza della luce?

Fonte: www.aton-ra.com/faraoni-egizi/nefertiti.html?start=1