ROMA nel Mediterraneo

Il modello cittadino in epoca romana

I Romani diffusero la vita urbana in territori dove mai essa era apparsa e vollero che le città, in ogni angolo dell’impero, avessero alcune caratteristiche simili. Soprattutto sotto Augusto, le fondazioni di nuove città rivelano chiaramente la volontà di usare la bellezza dell’edilizia cittadina per fare propaganda alla grandezza di Roma e celebrarne il successo. Non dobbiamo immaginarci, però, delle grandi metropoli. Molte città restarono piccole, popolate da poche migliaia di abitanti. Quello che importava era che la città si imponesse come centro del territorio circostante, riuscendo ad attirare i maggiori proprietari e le aristocrazie. In molti casi, costoro si trasferirono nei centri urbani; in altri restarono a vivere in campagna, ma dovevano comunque frequentare di continuo la città per i tribunali, il foro, le terme e gli spettacoli. Solo alcuni abitati ottennero la qualifica di città senza riuscire a divenire il centro di un territorio.

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Uno degli assi principali della centuriazione e dell’urbanistica cittadina era il cardo maximus, che si incrociava ad angolo retto con il decumanus maximus, ovvero il principale asse perpendicolare al cardo. L’insediamento romano risultava quindi diviso in quattro parti chiamate quartieri (termine che in seguito ha assunto il significato di nucleo con caratteristiche storiche e geografiche all’interno di un agglomerato urbano). Di regola, all’incrocio di queste due direttrici principali si trovava quasi sempre il forum, ossia la piazza principale della città. Il cardo maximus era di particolare importanza poiché collegava due delle quattro porte principali dell’insediamento e, solitamente, una di esse era maggiormente decorata e riconoscibile, in quanto indicava la strada consolare che conduceva a Roma. Essa poteva essere quella posta a nord o sud, a seconda dell’ubicazione geografica della civitas, rispetto alla capitale dell’impero. Il decumanus maximus collegava le altre due porte dell’insediamento, quelle in direzione est – ovest.

Queste due strade principali erano così denominate anche nell’ambito degli accampamenti romani, detti castra, all’incrocio dei quali non vi era il forum, bensì il cosiddetto praetorium, ossia la tenda del comandante. Solitamente, l’impostazione urbanistica assegnata all’accampamento veniva conservata nella planimetria futura del municipium o della civitas. Alcuni esempi di accampamenti in posizioni strategiche divenuti civitas, sono alcune tra le principali città italiane (Torino, Pavia, Aosta) ed europee (Vienna e York).

Il modello cittadino in epoca romana

La stragrande maggioranza delle città imperiali ebbe successo. In tutte sorsero edifici piuttosto simili, anche se naturalmente le dimensioni e la decorazione cambiavano a seconda della ricchezza e delle tradizioni locali. Una città degna di questo nome doveva avere anfiteatro, foro, templi, teatro, terme, acquedotti e, più in generale, un aspetto edilizio di un certo tipo, con vie dritte che si incrociavano ad angolo retto, possibilmente ben lastricate e dotate di un sistema fognario, fiancheggiate da case in muratura. Una struttura onnipresente erano gli acquedotti e le terme. I Romani andavano non a torto orgogliosi delle loro tecniche di ingegneria idraulica. Secondo alcuni di loro, prima ancora delle piramidi fra le meraviglie del mondo andavano messi gli acquedotti che rifornivano Roma. Erano in tutto 11 impianti, alcuni lunghi quasi cento chilometri. Per mantenere il più possibile costante la pendenza del percorso intere montagne furono traforate da gallerie, vallate attraversate da ponti e da impressionanti viadotti su arcate (quello dell’Aqua Claudia correva per dieci chilometri sopra arcate alte fino a 30 metri!). Tramite sifoni, serbatoi e condutture a pressione l’acqua poteva anche essere fatta risalire per centinaia di metri. In aggiunta al Tevere, in questo modo Roma disponeva di un fiume artificiale di acqua potabile: più di un milione di metri cubi al giorno, sufficienti a riempire due grandi piscine ogni minuto! Ma anche le altre città dell’impero beneficiavano delle conoscenze idrauliche e della preoccupazione romana per il rifornimento idrico. Dalla Spagna alla Francia, dalla Turchia all’Africa settentrionale ancora oggi le imponenti rovine degli acquedotti di età imperiale testimoniano come le città minori non avessero nulla da invidiare alla capitale.

Carnuntum

L’acqua portata dagli acquedotti muoveva impianti artigianali e per la macinazione del grano (a Roma i mulini erano sulle pendici del colle Gianicolo, allo sbocco dell’acquedotto costruito da Traiano); alimentava fontane pubbliche monumentali e semplici abbeveratoi (a Roma nel IV secolo se ne contavano più di 1300); giungeva tramite condutture in piombo fin dentro le case private dei cittadini più abbienti; infine, serviva per le terme.
Per i Romani le terme furono una scoperta tarda, ma di immediato successo. Le terme più antiche, riprese da quelle in uso in Grecia, erano costruzioni private e di piccole dimensioni. Le prime terme pubbliche vennero costruite a Roma soltanto al tempo di Augusto. In seguito ne sorsero molte altre, sempre più grandi e lussuose, come quelle, immense, costruite da Traiano e Caracalla. Comprendevano spogliatoi, palestre per esercizi fisici, sale da massaggio, di depilazione e cura del corpo; vi era poi una sauna calda densa di vapore acqueo (calidarium), cioè quello che noi chiamiamo bagno turco ma che in realtà dapprima gli Arabi e poi i Turchi ripresero proprio dal mondo romano; seguivano bagni in acqua calda, tiepida e fredda, la sosta in una sala lussuosamente decorata ma priva di riscaldamento (frigidarium) e infine un tuffo nella piscina scoperta. Il recinto delle terme comprendeva inoltre giardini, portici, biblioteche e sale per spettacoli.
È difficile oggi immaginare l’importanza delle terme cittadine nella civiltà dell’impero. Il loro uso scomparve in Europa con la fine del mondo romano, e sta tornando di moda solo negli ultimi anni. A differenza di oggi, però, per i Romani le terme non erano soltanto uno svago per chi poteva permettersele o una cura per i malati: in primo luogo, erano una pratica sociale, un modo di essere a fondo cittadini. L’accesso era gratuito o molto a buon mercato. Vi si recavano tutti i cittadini, tranne i più miserabili. Per i tanti che non potevano nemmeno sognare le lussuose residenze private dell’aristocrazia e abitavano nelle tipiche case romane, prive di acqua corrente e riscaldamento, le terme consentivano di lavarsi e prendersi cura del corpo. Ma alle terme si andava soprattutto perché erano un luogo di incontro, dove stare con amici, trattare gli affari, discutere di politica e di filosofia.

Il modello cittadino in epoca romana

Gli acquedotti e le terme, gli anfiteatri e i circhi, i templi, i teatri e i fori con i porticati, i tribunali e le grandi sale chiamate basiliche rappresentavano per i Romani l’essenza stessa della città. Da queste delizie della vita urbana erano esclusi i più miserabili della plebe cittadina e una bella parte dei contadini liberi, che costituivano la grande maggioranza della popolazione dell’impero. Ma solo quelli che le utilizzavano venivano considerati appieno cittadini, e cioè uomini civilizzati. Non a caso la parola civiltà, civilitas, viene dalla parola città, civitas. Questa etimologia indica bene come Roma, una citta-stato che aveva creato un impero basato su altre città, identificava la nozione stessa di civiltà con quella di città. Presto la mentalità romana fece ancora un’altra identificazione. Roma aveva conquistato un territorio immenso. Tranne che verso Oriente, i confini dell’impero segnavano la fine dei territori urbanizzati e l’inizio di quelli che conoscevano solo villaggi contadini o gli accampamenti dei nomadi. Così, Roma iniziò a credere che il suo dominio racchiudesse l’intero mondo civilizzato. La parola barbaro, allora, cambiò di significato. Non indicò più come nel mondo greco lo straniero, chiunque esso fosse. Adesso designava chi viveva al di fuori del mondo romano, il solo umanizzato e civile: barbaro voleva adesso dire ‘selvaggio’ oltre che ‘inferiore’. Capiamo così anche manifestazioni artistiche che a prima vista potrebbero stupirci.

Per esempio “l’imperatore filosofo” Marco Aurelio volle che sulla colonna scolpita che ne celebrava la memoria fossero raffigurate scene allucinanti di massacri di barbari; e un barbaro vinto veniva calpestato dal cavallo della sua famosa statua equestre, oggi in piazza del Campidoglio. Massacrare i barbari voleva adesso dire difendere la civiltà.

Fonte: www.capitolivm.it


L’Architettura Romana

L’architettura, così come l’arte romana in genere, abbraccia anche, oltre a quella sviluppatasi nella Capitale dell’impero, la vasta parte del mondo antico da essa assoggettata durante i secoli. Rivolta alla celebrazione della romanità, legata alle esigenze politiche, militari ed economiche, fu un efficace simbolo di espressione monumentale della potenza dello Stato.

tempioromano

L’architettura romana più antica fu generata dall’influenza etrusco-italica, che a differenza dei greci, era identificabile con l’0rdine tuscanico. Il tempio era orientato su un podio, costituito da elementi in legno e rivestimento di terrecotte policrome e statue. I basamenti degli edifici religiosi, delle fortificazioni e di costruzioni quali cisterne e acquedotti erano costituiti di blocchi regolari di tufo. Per buona parte del periodo repubblicano le forme architettoniche restano strettamente legate alle precedenti tradizioni italiche, influenzate a loro volta dall’arte greca.

L’economia in crescita e l’arrivo a Roma di studiosi e architetti greci furono fattori determinanti, nel II a.C., per l’incremento dell’impiego di marmo nei templi di tipo ellenistico. Nacquero nuove creazioni architettoniche, sempre più imponenti, come l’arco di trionfo o le basiliche civili (al coperto, di forma rettangolare, costituito da navate e colonnati, con ambienti per le varie funzioni) che andavano a delineare la sistemazione monumentale del centro nevralgico della città: il foro. Una delle traccie più significative della connessione dell’arte romana con quella ellenistica, la troviamo con il foro di Pompei, una soluzione urbanistica razionale che riunisce i principali edifici ad uso pubblico.

opus

L’architettura di età imperiale, della quale abbiamo più documentazione, subì l’influenza positiva del perfezionamento di tecniche che resero possibile la costruzione di edifici sempre più maestosi: l’opus caementicium (già adottato a cavallo tra il II e I a.C., mistura di calcestruzzo con pietrame e malta) nucleo portante della muratura, era utilizzato per le forme dello spazio interno degli edifici, sia per ragioni pratiche, sia dal punto di vista artistico. Tra gli ordini architettonici venne preferito il corinzio con capitello costituito da un corpo a tronco di cono rovesciato, finemente decorato con foglie d’acanto e volute angolari.

Le città erano caratterizzate da un’urbanistica che seguiva regolari disposizioni a scacchiera: lo schema ricalcava quello dell’accampamento romano (castrum, fortificazione in forma stabile o provvisoria dell’esercito romano) nel quale si articolavano gli edifici più importanti (capitolium, curia, basilica) e le strutture private, attraversato da due strade principali incrociate ad angolo retto: cardo e decumano. Tutte le città dell’impero venivano costruite su impronta diretta di Roma, imitandone più possibile le caratteristiche, dotate di tutti i monumenti necessari alla vita pubblica (terme, teatri, mercati), oltre a poderosi impianti di trasporto delle acque e fognature. Il modello di Roma veniva riprodotto in tutti i grandi centri nell’impero.

Fonte: www.capitolivm.it


L’impero di Roma nella sua massima espansione

Roma e il suo impero, la sua storia, la sua gloria. Un racconto millenario, cominciato sulle rive del Tevere nel 753 a.C., culminato nel 27 a.C., inizio del principato di Ottaviano Augusto, declinato con l’avvento del V secolo d.C. Dopo la morte di Teodosio, avvenuta nel 395, l’Impero venne diviso in Impero d’Occidente, che finì nel 476 d.C. con la deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre, e impero d’Oriente, che invece sopravvisse per altri mille anni, fino alla sua caduta nel 1453, quando gli Ottomani varcarono le mura di Costantinopoli.

Nella sua massima espansione, l’Impero comprendeva i territori degli attuali stati: Portogallo, Spagna, Andorra, Francia, Monaco, Belgio, Paesi Bassi (regioni meridionali), Regno Unito (Inghilterra, Galles, parte della Scozia), Lussemburgo, Germania (regioni meridionali e occidentali), Svizzera, Austria, Liechtenstein, Ungheria, Italia, San Marino, Malta, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Serbia, Montenegro, Kosovo, Albania, Macedonia, Grecia, Bulgaria, Romania, Ucraina (Crimea), Turchia, Cipro, Siria, Libano, Iraq, Armenia, Georgia, Iran, Azerbaigian, Israele, Giordania, Palestina, Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco e Arabia Saudita (piccola parte), Russia (piccola parte).

Un vastissimo impero, quindi, anche se non il più esteso, primato che spetta storicamente all’Impero Britannico per estensione in km² e a quello Mongolo e poi a quello russo per contiguità territoriale. Roma però trova la sua vera grandezza nella qualità e gestione delle terre, per l’organizzazione socio-politica, nella longevità e soprattutto per tutto quello che ha lasciato all’umanità con la costruzione di intere città, acquedotti, ponti, strade, fortificazioni. Roma, insomma, ha portato il suo modello di civiltà nel mondo allora conosciuto, ma ha saputo anche assimilare i popoli e le civiltà conquistate tanto che a distanza di secoli essi stessi continuavano a dichiararsi romani. Per tutto questo Roma, il suo Impero, la sua civiltà è veramente alla base della civiltà occidentale.

In età repubblicana, man mano che le conquiste si estendevano, il sistema politico di Roma entrava in una crisi sempre più profonda. Le istituzioni di una città-stato repubblicana si rivelavano incapaci di governare uno Stato vasto, impegnato in continui conflitti esterni e dilaniato da tensioni interne. Il ripetersi di guerre civili laceranti stremò i Romani e preparò la via a un nuovo regime politico, dove la concentrazione del potere nelle mani di un solo uomo finalmente portasse la pace e il buongoverno.
Le grandi famiglie romane, però, erano tenacemente avverse all’idea di una monarchia e andavano fiere della repubblica, il solo sistema politico che sembrava garantire loro libertà e potere. Anche il popolo era restio ad abbandonare cinque secoli di regime repubblicano: Giulio Cesare pagò con la morte la riluttanza collettiva a cambiare l’ordinamento statale. Il suo erede, Augusto, proseguì sulla via della concentrazione dei poteri, ma con gradualità, senza mai pretendere titoli altisonanti e lasciando ai Romani l’illusione di mantenere le antiche libertà di autogoverno. Così il potere imperiale si consolidò con Augusto e i suoi successori. Nuovi territori furono conquistati e altri passarono dalla condizione di Stati clienti a quella di province. Con il nuovo regime e la duratura pace che seppe garantire, la condizione delle province migliorò nettamente. Roma cessò di comportarsi come un rapinatore interessato solo al bottino. Iniziò a curare buongoverno e prosperità dei territori sottoposti, dove aveva proprietà e da cui otteneva imposte, beni e soldati. Nel II secolo l’impero raggiunse l’apogeo. Fu questa un’epoca di benessere economico per i proprietari fondiari e gli abitanti delle città come mai era avvenuto in passato, e come in seguito non sarà più per molti secoli.
Il dominio politico-militare di Roma fu rafforzato dalla sua grande capacità di assimilazione. I popoli sottomessi ottennero molteplici concessioni, fra cui la cittadinanza romana, concessa gradualmente a singole famiglie, città e intere regioni. Acquisirono i modi di vivere e di pensare di chi li aveva conquistati, la lingua, l’arte, le tecniche di costruzione e tanto altro. Questo processo di romanizzazione era destinato a influire per molti secoli sulla storia di quelle regioni. Va ricordato però che la civiltà che l’impero diffondeva ovunque era romana, ma ancor di più greca. L’impero di Roma era un mondo bilingue, dove si parlava greco quasi quanto latino. La cultura, i valori morali, le scienze e i modi di vivere erano al tempo stesso romani e greci, perché derivavano dall’assimilazione della civiltà greca compiuta dai Romani. Per questo possiamo parlare di un impero greco-romano.

Fonte: www.capitolivm.it