Criticità e cambiamenti

Il quadro delle instabilità

Da tempo è in atto un conflitto che non si ferma più di fronte a niente.
Un confronto che ha la pretesa di determinare i futuri assetti geopolitici mondiali e stabilire la definitiva egemonia fra due differenti aree geografiche ed economiche. Uno scontro senza esclusione di colpi, una vera e propria guerra mondiale di predominio, combattuta ormai su tutti i fronti e con tutti gli strumenti possibili.
Da una parte la potenza economica mondiale che ha dominato durante gli ultimi 70 anni, rappresentata principalmente dagli USA con l’Europa al seguito, tenuta sotto scacco.
Dall’altra i BRICS, la Russia alleata con Cina, Iran, che cooperano con India, Brasile, Sudafrica, alcuni paesi emergenti del Sudamerica e altre realtà regionali euroasiatiche.
Gli Stati Uniti, per molti anni, grazie alle politiche di controllo dei flussi del petrolio, hanno avuto un predominio strategico a livello mondiale. Predominio che è andato declinando in quest’ultimo periodo, principalmente proprio per via delle politiche energetiche applicate dalla Russia e dal suo governo.

La questione dei Gasdotti

La Russia in questi ultimi 15 anni ha lavorato incessantemente a livello politico ed economico, stabilendo piani di cooperazione energetica e alimentare con vari stati europei, asiatici e mediorientali, intessendo collaborazioni e progetti di partenariato tra i vari colossi che gestiscono l’approvvigionamento energetico, il flusso che si è creato è stato così basato sulla fornitura di energia in cambio di tecnologia oppure in cambio di forniture alimentari.
Sono numerosissimi gli accordi commerciali stabiliti dalle compagnie russe Gazprom e LUKoil, con le varie compagnie italiane ENI, Snam, Saipem ed Edison, l’olandese SHELL, la britannica BP, le francesi Total e Chevron, la norvegese Statoil, la greca Depa, l’azera BTC, la turca Botas, le giapponesi Mitsubishi Diamond Gas, Mitsui, Itochu e Inpex, solo per citarne alcune.
Come numerosi sono stati i progetti portati avanti per la realizzazione di svariati gasdotti per rifornire di gas russo l’Europa, l’Asia e alcuni paesi del Medioriente:
Nord Stream e Nord Stream II che vede coinvolte Russia e vari stati nordeuropei per il raddoppio del gasdotto esistente
South Caucasus Pipeline, gasdotto che coinvolge BP, AzSCP, la TPAO, la malese Petronas, Lukoil, NICO, SGC Midstream
Il gasdotto Yamal che interessa Russia, Bielorussia, Polonia e Germania
Eastern Gas Program che vede coinvolte Russia e Cina per l’approvvigionamento energetico nel Nord della Cina
Shakalin II con Russia e Giappone in un partenariato per la fornitura di gas naturale
Il Blue Stream che coinvolge in maniera preponderante l’Italia con l’ENI
Turkish Stream ultimo dei vari gasdotti previsti che dovrebbe rifornire di gas russo Europa e Turchia passando sotto il Mar Nero, transitando nella Turchia europea, in Grecia, per approdare nel Sud della Puglia.

Gasdotti Gazprom

La destabilizzazione come strategia di contrasto

Gli apparati statunitensi, d’altro canto, per ovvi motivi logistici, non potendo competere con il gas russo, per scoraggiare ogni possibile forma di cooperazione energetica, già da tempo hanno preso le relative contromisure, riaffermando sul territorio la propria forte presenza militare, oltre che economica, sia in aree d’interesse strategico Mediorientale che qui in Europa.

Mettendosi davanti ad una cartina geografica, non si può fare a meno di notare come la presenza dei recenti conflitti, i vari disordini, le situazioni di crisi, le guerre civili e le ultime mobilitazioni delle forze NATO, siano esattamente su tutti quei territori mediorientali, nordafricani ed europei, interessati dal passaggio di un gasdotto, di un oleodotto o che comunque si trovino su di un’importante rotta energetica.

Mappa Conflitti

E’ allora che si capisce bene come questa rappresenti una vera e propria guerra, giocata senza scrupoli e a tutto campo, sulla pelle della gente. Un conflitto dove a seconda della necessità, vengono usati, i media per rappresentare una versione dei fatti sempre più distante dalla realtà, crisi economiche strumentali che appaiono sempre al momento giusto per piegare i governi che non si sottomettano a determinate logiche (vedi Grecia, ma anche Italia, Spagna e Portogallo), l’FMI che a insindacabile giudizio decide quali sono i paesi meritevoli di essere economicamente salvati e quali no, le varie società di rating (tutte USA) che decidono, secondo criteri non opinabili, i rating di affidabilità di Stati, Enti Pubblici ed aziende, i sanguinosi attentati operati da gruppi terroristici che poi scopriamo in questi giorni essere in affari proprio con “chi” ci dovrebbe difendere, le spaventose guerre regionali che ci circondano, usate come deterrente “strategico” o come forma di ritorsione, la diffusione seriale di menzogne per addormentare le coscienze o per generare rabbia e paura alimentando sempre nuove spirali d’odio e distogliendo così la maggioranza delle persone dal reale nodo del problema, la creazione di sacche sempre più ampie di povertà, disperazione ed emarginazione che poi diventano terreno fertile per il terrorismo, l’uso strumentale del fenomeno degli imponenti flussi migratori, per l’appunto ingenerati e accresciuti con le guerre stesse e poi usati come spauracchio e strumento di divisione e destabilizzazione.

L’inizio del conflitto

Tutto ciò che sta avvenendo non è casuale ma è funzionale a mantenere il controllo energetico, alimentare ed economico su gran parte delle popolazioni.
“Chi controlla le scorte alimentari controlla la gente; chi controlla l’energia può controllare interi continenti; chi controlla il denaro può controllare il mondo.”
Purtroppo non è una frase tratta da un libro di George Orwell ma è quanto espresso da Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano e consigliere per la sicurezza nazionale, una frase che ben rappresenta la strategia politica a stelle strisce degli ultimi 40 anni, una strategia che non prevede rapporti tra pari ma che si basa sul concetto di predominio portato avanti ad oltranza.
Così, mentre gli organi d’informazione continuano imperterriti a descrivere una realtà frammentata, motivando ciò che sta avvenendo con spiegazioni “pilotate” e senza mai dare un quadro generale della situazione, è avvenuto che con qualche variante sul tema, si sono ricreate condizioni geopolitiche simili a quelle che sussistevano subito dopo la 2° guerra mondiale, si sono riformati due veri e propri blocchi, come ai tempi della guerra fredda, che adesso tornano a confrontarsi in quest’ultimo periodo storico per la supremazia energetica, alimentare, economica e tecnologica specie sul fronte degli armamenti. Non è casuale il dato che oggi i due maggiori produttori e fornitori di armi siano proprio Stati Uniti con il 30% della produzione mondiale di armamenti e Russia con il 26%.
E’ presumibile che nei futuri libri di storia, la data d’inizio di questo conflitto, per ora a bassa intensità, potrebbe essere fissata al 2001, anno in cui, a seguito dell’attentato dell’11 Settembre sono state avviate le occupazioni militari di Iraq e Afghanistan, sotto lo slogan, ormai passato alla storia di “Guerra al Terrore!” Una data quella del 2001 che ha visto anche l’inizio di una nuova corsa agli armamenti.
Corsa agli armamenti giustificata dalla nuova “guerra al terrore” che da allora non si è più fermata, cercando i colpevoli del “terrorismo” all’interno dei vari paesi definiti “Stati Canaglia” che di volta in volta hanno preso i nomi di Iraq, Afghanistan, Iran, Libia, Siria, Yemen, tutti paesi stranamente ubicati in posizioni altamente strategiche per il controllo dei flussi del petrolio e dei possibili percorsi dei vari gasdotti e oleodotti. Oppure come non ricordare le famose primavere arabe, tutte represse nel sangue, che hanno prodotto governi ancora peggiori di quelli precedentemente esistenti ma stranamente tutti molto “collaborativi” verso l’occidente.
Una guerra, che finora ha provocato oltre 1 milione di morti e caso strano, non ha mancato di fare una visita anche dalle parti dell’Ucraina, interessata dal passaggio di ben tre gasdotti, strategici per l’approvvigionamento di gas russo in Europa e che ha visto una corsa al ribasso del prezzo del petrolio, raggiungendo, mai come adesso, quotazioni così basse.
Un confronto sempre più serrato che ultimamente ha anche visto l’abbattimento di un aereo russo da parte di un F16 turco della NATO, alzando ulteriormente la tensione e ottenendo che venissero sospesi i progetti di costruzione del gasdotto russo-turco-greco-italiano Turkish stream.
Una lotta per la supremazia energetica sempre più pericolosa, che ha visto in quest’ultimo anno grandi esercitazioni militari nel mediterraneo da parte della NATO con il Trident Juncture e l’imponente dispiegamento di truppe NATO proprio in quei paesi come Polonia e Repubblica Ceca che avevano sottoscritto trattati economici e commerciali di cooperazione con la Russia per il passaggio dei nuovi gasdotti.

Il controllo strategico dell’Energia

Per capire meglio l’importanza che rivestono le politiche energetiche in Europa basti pensare che la NATO in questi ultimi anni ha addirittura creato un apposito organismo, chiamato Nato Energy Security Centre of Excellence (Centro di eccellenza NATO per la sicurezza energetica)  ideato a supporto delle forze militari Transatlantiche, impegnato nel trovare le strategie e le politiche più efficaci per mantenere il controllo energetico qua in Europa. Interessante leggere il concetto di energia alla pagina 10 di una presentazione ufficiale, dove si recita la massima “Esercito per l’energia, Energia per l’esercito” con lo sfondo di una moneta da 1 Euro, a inizio pagina 11 si chiarisce ancora meglio il concetto scrivendo “Armed forces: the largest consumer of energy in the country” (Forze armate: il più grande consumatore di energia nel paese) e a fine pagina si ribadisce ulteriormente, Energy: indispensable component of military (Energia componente indispensabile per l’esercito) illustrato nel dettaglio il concetto con il diagramma che si trova a pagina 12.
La stessa NATO l’anno scorso ha istituito un’agenda ufficiale per la sicurezza energetica europea.
Ancora più evidenti sono le idee in materia della NATO, apparse in un recente articolo pubblicato sul sito ufficiale, dove si esprimono senza tanti giri di parole i seguenti concetti, “La NATO deve riprendere il ruolo che aveva nel 1949, con questo si deve includere la partecipazione degli alti ministeri dei paesi aderenti, durante le riunioni del Consiglio Nord Atlantico e l’istituzione di speciali sessioni con i vari Ministri delle Finanze dei governi partecipanti al Trattato Atlantico” e ancora “Ultimamente le politiche energetiche sono in gran parte decise dalle imprese private, o dalla legge della domanda e dell’offerta, almeno qui in Occidente” aggiungendo poi riferendosi alla sicurezza energetica “le decisioni nazionali, le decisioni economiche e sui vari progetti infrastrutturali dovranno essere riviste e in qualche modo adeguarsi alle politiche energetiche strategiche”, ribadendo il concetto “ la sicurezza energetica non è una cosa per la quale la NATO può permettersi di perdere il controllo qua in Europa”, concludendo “come strategia principale dobbiamo creare una diversificazione energetica per ridurre la dipendenza dell’Europa verso l’energia russa.

Ancora agli accordi di Yalta

Di colpo siamo tornati a dichiarazioni e rapporti di forza che riportano indietro la lancetta della storia di quasi 70 anni.
Ovviamente aggiungiamo noi, tutto questo nella pratica, diventa difficile da realizzare all’interno delle regole del libero mercato in cui vale la famosa legge della domanda e dell’offerta, anzi diventa impossibile a fronte del fatto che la Russia ha enormi scorte di gas naturale da offrire a prezzo vantaggioso rispetto al ben più costoso Shale Gas americano, estratto dalla frantumazione delle rocce, shale gas che andrà pure bene per garantire una forma d’indipendenza energetica agli USA ma che poco si adatta ad essere venduto sul mercato europeo a causa degli alti costi d’estrazione e per il successivo trasporto via mare.
Ecco che allora, dove non si arriva più con le favolose leggi del “libero mercato” ritorna attuale la vecchia ma collaudata strategia basata sulla legge del più forte, quella imposta con la forza delle armi, con la strategia del ricatto e dell’eventuale ritorsione.
La NATO sopravvissuta a 25 anni dalla scomparsa dell’Unione Sovietica, una potente organizzazione militare che come affermato da loro stessi, consuma enormi quantitativi di risorse ed energia. Un organismo che ormai vive di vita propria e che pare non abbia nessuna intenzione di applicare politiche di reale cooperazione e distensione, non solo verso la Russia e il Medioriente ma anche nei confronti dell’Europa stessa. Al contrario in questi ultimi anni si possono osservare operazioni sempre più ambigue e criminali, che parrebbero studiate per generare continue situazioni di crisi, per poi giustificare la presenza sempre più massiccia sul territorio di armi e forze militari.
Rappresentativo delle reali intenzioni delle politiche energetiche ed economiche USA nei confronti della Russia, è il fumetto che si può trovare, andando sul sito ufficiale della NATO.

Mercato per niente libero e risultati della strategia della tensione

Come non vedere la forsennata corsa che gli apparati economici USA stanno facendo per imporre a tutta l’Europa un nuovo trattato commerciale, il TTIP che obbligherà in maniera coatta tutta l’economia europea ad un partenariato con gli USA, persino sui prodotti alimentari americani che potranno liberamente circolare in Europa, compresi gli OGM, prodotti e brevettati come esclusiva proprietà delle multinazionali statunitensi.
Insomma, ben nascosta sotto false questioni ideologiche, economiche, religiose, oppure giustificata da concetti come sicurezza, democrazia e giustizia, già da anni, sul campo europeo, mediorientale e nordafricano, gli USA stanno combattendo una guerra a tutto campo per mantenere da una parte il controllo energetico sul territorio e al tempo stesso acquisire quello alimentare.
Una politica che come al solito, dove non arrivino le leggi del non più tanto “libero” mercato, ecco che vengono soppiantate con le stesse modalità coloniali che hanno caratterizzato i due secoli scorsi, basate su occupazione militare, strategia del disordine, creazione di divisioni, risoluzione dei conflitti al di fuori dai principi del diritto internazionale e più in generale la produzione di un caos che dopo 14 anni di queste politiche ha ottenuto 5 risultati principali:
1) Proliferare senza nessun controllo, di decine di organizzazioni terroristiche, nate dalle macerie umane e sociali, provocate dalla stessa “Guerra al Terrore!”. Organizzazioni terroristiche, descritte finora come misteriosamente nate dal nulla, che poi sono cresciute militarmente, istruite e rifornite di tutto punto ed equipaggiate di armi che adesso, poco a poco, scopriamo ricondurre a rapporti economici con gli stessi nostri governanti e con le compagnie di affari occidentali, che solo a parole dicono di volersi combattere.
Così nella contesa tra l’occidentale slogan di “Guerra al terrore!” e il jihadista grido di risposta “Morte all’Occidente!”, si genera un insignificante effetto collaterale, che distrattamente sfugge sempre ai nostri attenti media: In tutti gli attentati terroristici, perpetrati indistintamente, sia a danno dei Cristiani che dei Musulmani, non sono mai i governanti, né le elite economiche a rimetterci, ma è sempre e soltanto la povera gente. Allo stesso modo è sempre la povera popolazione a morire sotto i raid organizzati dai governi occidentali con bombe pagate da noi cittadini con le tasse e prodotte da industrie belliche finanziate dalle stesse elite economiche.
A Firenze c’è un detto che ben rappresenta l’ambiguo modo di fare che hanno i governi occidentali nei confronti del terrorismo:  “fare come i ladri di Pisa, di giorno litigano e poi di notte, vanno a rubare insieme.”

2) Nuova corsa agli armamenti, finanziata grazie alle risorse sottratte al welfare sociale, alla cultura, alla sanità, all’istruzione, al lavoro, ai servizi, alla scuola, alla cooperazione, risorse che finiscono nelle casse delle banche le quali sempre più spesso finanziano l’industria bellica.
3) Circoscrivere sempre di più le persone in uno stato d’isolamento, fomentando insicurezza, paura, diffidenza, rabbia e odio, distruggendo ogni minima forma di coesione sociale, minando i più elementari diritti umani, vanificando gli sforzi e le conquiste lavorative, educative, sociali e culturali, portate avanti con fatica nel corso di tanti anni dalle generazioni precedenti, costringendo l’attenzione delle persone a parlare sempre più di guerra, respirare il clima di guerra e riducendo sempre di più lo spazio ad ogni possibile forma di pensiero alternativo alla logica della violenza, dello sfruttamento, dell’individualismo portato al limite e del profitto.
4) Marcare le differenze economiche tra una larga fetta di popolazione sempre più povera e una piccola elite dominante, sempre più ricca, diffondere povertà e ignoranza per creare nuovo terreno fertile per nuove guerre fra poveri.
5) Contrastare nuove politiche energetiche ed alimentari basate sulla cooperazione fra i popoli per riaffermare ad ogni costo una vecchia egemonia guerrafondaia, frutto di assetti geopolitici di oltre 70 anni fa.

Vie di uscita e crescita alternativa.

Una guerra di predominio pagata dai poveri e operata da ricchi a danno dei poveri, è questo in definitiva quello che attualmente si vede, il resto sono tante belle favole raccontate con indubbia mestizia per giustificare qualcosa che non ha più niente di giustificabile.

Un vero voto verso la guerra e la distruzione, quello intrapreso da coloro che continuano a recitare il mantra ipnotico della crescita materiale ed economica senza fine, la quale ha bisogno di sempre più energia, agendo come se le risorse di questo pianeta fossero infinite e la vita delle persone non contasse più nulla.

Cominciamo a domandarci perché non si parli mai della crescita della felicità, della cultura, del livello d’istruzione, del livello di salute e di benessere mentale, del livello umano delle persone, del livello di coscienza e consapevolezza, del livello di qualità ambientale, di crescita dei diritti umani, di crescita interiore delle persone.
Come detto in un articolo ad inizio anno, è una strada molto pericolosa e temiamo senza via d’uscita, quella imboccata dall’occidente, una direzione che va corretta al più presto, per evitare, come ha ricordato il Dalai Lama, di passare di nuovo dalle enormi tragedie che hanno caratterizzato tutto il secolo scorso.

Fonte: https://www.pressenza.com/it/2015/12/energia-e-livello-del-conflitto/


VISTI CON GLI OCCHI DELLA GIORDANIA: ISRAELE, PALESTINA, E ANNESSIONI

di Filippo Sardella, Istituto Analisi Relazioni Internazionali

I rapporti tra Cina e Russia sono sempre stati altalenanti. Le sanzioni di carattere diplomatico ed economico imposte dall’Unione Europea alla Russia in seguito alla crisi ucraina del 2014 hanno di certo giocato un importante ruolo nel riavvicinamento dei due Paesi. E il Nord sembra l’area geografica in cui questo dialogo stia dando i risultati più tangibili. 

La Cina guarda a Nord per poter sostenere tassi di crescita che, seppur inferiori agli anni precedenti, rimangano ben al di sopra dei due o tre punti percentuali.  E anche se l’interesse per la regione artica è stato formalizzato solo nel 2018 con la pubblicazione della China’s Arctic Policy, da decenni la Cina considera l’estremo Nord  un bacino di risorse cui prestare attenzione. E i risultati, come spesso avviene per la potenza guidata da Xi Jinping, non si fanno attendere. Nonostante un percorso diplomatico tortuoso e complesso, la Cina sta progressivamente espandendo i suoi interessi nell’area. Chi sta fiancheggiando la Cina in questo percorso è la Russia di Putin, che anch’essa guarda al Nord come un’area di sviluppo fondamentale per risollevare le sorti economiche del Paese. Il risultato della convergenza di interessi delle due potenze è già tangibile: la Power of Siberia, un gasdotto di 3000 chilometri che collega la Siberia al Nord Est cinese, famoso per la produzione carbonifera, è entrato in funzione.

Il confine lungo il fiume Amur, che per anni è stato simbolo di divisione e instabilità politica, oggi vede la nascita di una collaborazione tutta economica che da una parte va a diversificare l’importazione energetica del dragone e dall’altra va a concretizzare il potenziale di una regione su cui Putin punta molto. A dicembre 2019 è stato completato il tratto che dalla Siberia si inoltra nel territorio cinese attraverso la Provincia settentrionale dell’Heilongjiang e giunge a Changling, nella Provincia di Jilin. Entro la fine del 2020 è previsto che il gasdotto raggiunga Yongqing nello Hebei e il termine ultimo nel 2024, a Shanghai.

Da ambo le parti l’inaugurazione è stata celebrata come un evento storico per il benessere delle economie di entrambi i Paesi e una pietra miliare della collaborazione energetica sino-russa. Ridare vigore e ripopolare le regioni del Nord Est russo che, dopo la disgregazione dell’URSS hanno visto un progressivo spopolamento e impoverimento, è un’assoluta priorità del Cremlino che perfettamente si armonizza con le necessità di diversificazione energetica di cui la Cina ha bisogno per sostenere tassi di crescita ancora sostenuti.

23 maggio 2020


IL QUADRO STORICO DEGLI EVENTI DAL 1990 AI NOSTRI GIORNI

Mappa di tutte le guerre in Medio Oriente

10 anni di eventi
• 31 gennaio 1990:
la guerra civile in Libano si aggrava con uno scontro interno alle armate cristiane, che avrà termine solo nell’ottobre, quando le forze governative, con l’aiuto dei Siriani, riprenderanno in mano la situazione.

• 22 maggio 1990:
lo Yemen del Nord e lo Yemen del Sud, dopo lunghi negoziati, giungono all’unificazione.

• 2 agosto 1990:
l’Irak invade il Kuwait, che accusa di fare una politica di ribasso del prezzo del petrolio e contro il quale rivendica il possesso di un’area ricca di petrolio. L’ONU, pochi giorni dopo, stabilisce (con la sola astensione dello Yemen e di Cuba) un embargo commerciale, finanziario e militare. Già il 7 agosto, con l’accordo del governo saudita, truppe e aerei americani sono inviati in Arabia Saudita. Saddam Husayn, tuttavia, dichiara l’annessione del Kuwait, e invita tutti gli Arabi e i musulmani a liberare La Mecca. I Palestinesi vedono in Saddam un liberatore e ne appoggiano la causa; anche la Giordania (in cui i Palestinesi sono la maggior parte della popolazione) si rifiuta di condannare Saddam.

• 10 agosto 1990:
la Lega araba si mostra divisa, ma in un summit al Cairo decide, a stretta maggioranza, di condannare l’Irak e d’inviare un contingente militare in Arabia. Della coalizione anti-irakena fanno parte, oltre ai paesi del Golfo, anche Egitto, Siria, Marocco. Saddam vincola il proprio ritiro dal Kuwait al ritiro israeliano dai Territori occupati e al ritiro siriano dal Libano.

• 29 novembre 1990:
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (con il voto contrario di Cuba e Yemen e con l’astensione della Cina) autorizza l’uso della forza per ristabilire la sovranità del Kuwait, a partire dal 15 gennaio 1991.

• 17 gennaio 1991:
ha inizio l’operazione “Tempesta nel Deserto”. Dalle portaerei nell’Oceano Indiano e dalle basi nella penisola araba e in Turchia, gli aerei della coalizione anti-irakena iniziano una serie di bombardamenti sull’Irak e sulle postazioni irakene in Kuwait. Nei giorni successivi, Israele è colpito da missili irakeni, ma non reagisce; non riesce così il tentativo irakeno di far uscire dalla coalizione i Paesi arabi.

• 24 febbraio 1991:
l’operazione “Tempesta nel deserto” si conclude con una breve e violentissima offensiva terrestre che libera il Kuwait e costringe l’Irak a una resa senza condizioni. I danni alle città e alle strutture industriali provocati dal breve conflitto sono ingentissimi. Il regime di Saddam, pur in difficoltà, regge; insurrezioni degli sciiti nel sud e dei Curdi nel nord dell’Irak sono represse nel sangue. Due milioni di Curdi cercano di fuggire verso la Turchia e l’Iran. Nell’aprile successivo, l’ONU impone all’Irak precise condizioni per un definitivo cessate il fuoco: riconoscimento delle frontiere con il Kuwait ed eliminazione delle armi di distruzione di massa. Saddam pone, negli anni seguenti, molti ostacoli a un effettivo controllo internazionale. Ancora nel gennaio 1993 avrà luogo un attacco missilistico americano di rappresaglia contro Baghdad. L’embargo dell’ONU, negli anni successivi, porta l’Irak, tenuto ai margini dalla comunità internazionale, a una gravissima crisi economica.

• 6 marzo 1991:
per trovare una soluzione al problema palestinese, riportato in primo piano durante la guerra del Golfo, il presidente americano George Bush inizia un’intensa serie di contatti con le parti interessate. In Israele il governo conservatore di Yitzak Shamir mostra nell’agosto seguente qualche cauta apertura a un dialogo con la Siria e gli Arabi. Nel giugno, re Hussein di Giordania (uscito indebolito dalla guerra del Golfo per l’appoggio dato a Saddam) cerca di rilanciare un processo di pace proponendo contatti diretti fra la Giordania e Israele.

• 31 ottobre 1991:
iniziano a Madrid i negoziati fra israeliani e – separatamente – Siriani, Libanesi, Giordani/Palestinesi. A varie riprese, gli incontri proseguono fino all’estate 1992.

• 23 giugno 1992:
il Partito laburista vince le elezioni in Israele. Il nuovo primo ministro, Yitzak Rabin annuncia che obiettivo prioritario del nuovo governo sarà la costituzione di un regime di autonomia nei Territori occupati. Cessa di conseguenza l’insediamento di coloni nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Nei mesi seguenti, le trattative sono comunque sospese per lunghi periodi in conseguenza di azioni di rappresaglia israeliane nel sud del Libano e dell’espulsione (nel dicembre 1992) di 415 Palestinesi accusati di appartenere all’organizzazione terroristica Hamas.

• 24 marzo 1993:
Ezer Weizman è eletto presidente di Israele. Succede a Chaim Herzog.

• 14 aprile 1993:
Israele accetta la risoluzione dell’Onu che impone il suo ritiro dalla Cisgiordania e da Gaza.

• 13 settembre 1993:
dopo una serie di incontri segreti, accordo fra Israele (con il suo primo ministro Rabin) e l’OLP (con Arafat) sulla creazione di una regione autonoma palestinese nella Striscia di Gaza e nella città di Gerico. L’Organizzazione per la Liberazione della Palestina annuncia il riconoscimento di Israele. L’accordo (che fra l’altro prevede il ritiro delle forze israeliane entro la primavera 1994) trova contrasti sia nella destra israeliana e presso i coloni, sia all’interno dell’OLP, e la rivolta dell’intifada (iniziata nel 1987) tende a inasprirsi.

• dicembre 1993:
un “accordo fondamentale” fra il Vaticano e Israele segna la riconciliazione fra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico. Le relazioni diplomatiche saranno ufficialmente inaugurate il 15 giugno 1994.

• gennaio e febbraio 1994:
i contatti per il perfezionamento dell’accordo fra Israele e OLP proseguono (Peres e Arafat si incontrano al Cairo il 10 febbraio per firmare gli “accordi sulla sicurezza”).

• 25 febbraio 1994:
un estremista israeliano uccide decine di palestinesi in preghiera nella moschea di Hebron. Dopo il massacro (e gli scontri che vi fanno seguito) aumentano le pressioni internazionali per una più rapida conclusione delle trattative. Durante l’anno si moltiplicano gli attentati, soprattutto ad opera degli estremisti islamici di Hamas, che però non sembrano arrestare il processo di pace.

• 4 maggio 1994:
al Cairo vengono firmati gli accordi fra Israele e OLP per le modalità di applicazione dell’autonomia palestinese. Maggio – luglio 1994: guerra civile in Yemen, per il tentativo di secessione del Sud. Dopo aspri scontri, Aden viene occupata dalle truppe del Nord e il 30 luglio, con la mediazione della Russia, si giunge al cessate il fuoco.

• 26 ottobre 1994:
firma del trattato di pace fra Israele e Giordania.

• marzo 1995:
massiccia offensiva dell’esercito turco contro le basi dei separatisti curdi nell’Irak settentrionale.

• 1 maggio 1995:
il presidente americano Clinton decreta l’embargo contro l’Iran, accusato di favorire il terrorismo degli integralisti islamici e di preparare la bomba atomica.

• 25 maggio 1995:
le trattative fra Israele e la Siria portano a un accordo preliminare per dare il via alla smilitarizzazione delle alture del Golan.

• 28 settembre 1995:
a Washington Arafat e Rabin firmano l’accordo per l’estensione dell’autonomia alla Cisgiordania. Entro marzo 1996 l’autonomia, già riconosciuta ai Palestinesi di Gaza e di Gerico, sarà estesa ad altre sette città della Cisgiordania (fra cui Betlemme, Nablus e parzialmente Hebron).

• 15 ottobre 1995:
in Irak Saddam Husayn è rieletto presidente.

• 4 novembre 1995:
Yitzak Rabin viene assassinato a Tel Aviv, durante una manifestazione per la pace, da un estremista ebreo; il giorno dopo viene nominato primo ministro Shimon Peres.

• 24 dicembre 1995:
alle elezioni anticipate in Turchia, affermazione degli islamici (RP, Partito della prosperità).

• 20 gennaio 1996:
prime elezioni nelle Regioni autonome palestinesi: Arafat viene eletto presidente con l’88,1% dei voti. Uno dei primi atti del nuovo Consiglio dell’Autonomia dovrà essere, secondo gli accordi, la cancellazione degli articoli della Costituzione che prevedono la distruzione dello stato d’Israele. Ancora a fine febbraio, però, alcuni attentati di estremisti palestinesi in Israele rendono incerto il futuro degli accordi.

• 29 maggio 1996:
elezioni in Israele. Con l’avanzata elettorale dei partiti religiosi, vince di strettissima misura il leader del Likud, Benjamin Netaniahu, che afferma di voler continuare il processo di pacificazione, rivedendone però tempi e priorità. Nel dicembre successivo, una risoluzione dell’ONU definisce illegale la decisione di Israele di imporre la propria giurisdizione su Gerusalemme est.

• 8 luglio 1996:
in Turchia si insedia per la prima volta un governo presieduto da un islamista, N. Erbakan.

• 2 settembre 1996:
in Irak l’esercito sferra un’offensiva contro le fazioni dei Curdi filo-iraniani nel nord del paese, in zona interdetta dall’ONU. La pronta rappresaglia degli USA (lancio di missili su obiettivi militari) provoca reazioni negative nel mondo arabo.

• 11 – 27 settembre 1996:
in Afghanistan i Talebani (studenti di religione), islamici fondamentalisti, ben armati, con una rapida avanzata giungono a occupare gran parte del paese, compresa la capitale Kabul, rovesciano il governo e instaurano un regime che impone la legge islamica.

• 9 dicembre 1996:
entra in vigore la risoluzione dell’ONU n. 986, che autorizza l’Irak a vendere petrolio per acquistare viveri e medicinali.

• 15 gennaio 1997:
nuovo accordo fra Israele e l’Autorità palestinese per il ritiro dell’esercito israeliano da Hebron e dalla Cisgiordania fra il marzo 1997 e l’agosto 1998. Ma già nel marzo 1997 l’accordo entra in crisi per la decisione del governo israeliano di costruire un quartiere ebraico a Gerusalemme est. Le difficoltà si acuiscono dopo alcuni attentati suicidi a Gerusalemme. Anche la liberazione da parte di Israele del capo spirituale del movimento integralista di Hamas non ha effetti significativi.

• 23 maggio 1997:
in Iran viene eletto presidente della repubblica Mohamed Khatani, che esprime le tendenze moderate e il desiderio di cambiamento di giovani, donne e intellettuali.

• 20 giugno 1997
dopo le dimissioni in Turchia (per le pressioni dei militari) di Erbakan, diventa primo ministro Mesut Yilmaz (dell’ANAP, il Partito della Madre Patria, di tendenze di destra); egli è fautore di una linea di governo laica, che prevede un maggiore aggancio all’occidente e all’economia di mercato.

• ottobre – novembre 1997:
nuova tensione fra gli USA e l’Irak, dopo la cacciata, da parte di Saddam Husayn, degli ispettori statunitensi della commissione ONU per la verifica del disarmo irakeno. Nelle Nazioni Unite c’è comunque forte opposizione all’ipotesi di un intervento militare, minacciata dal governo americano. Dopo un breve periodo in cui la crisi sembra rientrata, la tensione sale di nuovo dopo che, il 13 gennaio 1998, Saddam Husayn impedisce nuovamente le ispezioni agli Americani. All’inizio del febbraio gli USA concentrano imponenti forze aeronavali nel Golfo, sostenendo che non sono necessarie altre risoluzioni dell’ONU per un eventuale attacco. Russia, Cina e Francia insistono nei tentativi diplomatici, la Gran Bretagna appoggia la posizione degli Stati Uniti.

• 16 gennaio 1998:
in Turchia viene dichiarato fuori legge il partito islamico Refah (Partito del benessere), che è il maggior partito dell’opposizione e di maggioranza relativa. L’accusa è di avere attentato alla laicità dello stato dopo la vittoria alle elezioni del 1995.

• 22 febbraio 1998:
la mediazione del segretario dell’ONU Kofi Annan in Irak spinge Saddam ad accettare, senza condizioni, le ispezioni dell’ONU anche nei “siti presidenziali” (dove si sospetta vengano prodotte armi per la distruzione di massa).

• luglio 1998:
in Afghanistan i viene decisa la chiusura delle scuole per ragazze e dei centri professionali femminili. Prosegue l’avanzata dei talebani nella riconquista della parte settentrionale del paese.

• settembre 1998:
tensione fra Iran e Afghanistan per l’uccisione di un gruppo di diplomatici iraniani ad opera di una fazione dei talebani. Manovre militari dell’esercito iraniano presso il confine.

• 24 ottobre 1998:
accordo, firmato negli Stati Uniti grazie alla pressione di Clinton e alla mediazione di re Hussein di Giordania, fra Israele e Autorità palestinese, per il ritiro israeliano dal 13% del territorio della Cisgiordania.

Novembre 1998:
ennesima crisi fra Stati Uniti e Irak; l’intervento armato viene evitato in extremis per la resa di Saddam, che accetta incondizionatamente le ispezioni dell’ONU.

• 25 novembre 1998:
si dimette in Turchia il governo di Mesut Yilmaz, per accuse di corruzione.

• 14 dicembre 1998:
nel corso di una visita del presidente americano Clinton nei territori dell’Autorità palestinese, il Consiglio dell’OLP vota la cancellazione dal proprio statuto della clausola che impone la distruzione di Israele. L’applicazione degli accordi di ottobre sembra riprendere vigore.

• 16 dicembre 1998:
in seguito a un rapporto degli ispettori dell’ONU, in cui si afferma che Saddam ha violato gli accordi, viene effettuato un massiccio bombardamento anglo-americano sull’Iraq. Reazioni contrastanti nel mondo.

• 21 dicembre 1998:
crisi di governo in Israele. Le elezioni si dovrebbero tenere il 17 maggio 1999.

• 7 febbraio 1999:
muore re Hussein di Giordania. Alcune settimane prima della morte, il sovrano aveva designato, come successore, il figlio Abdallah.

• 16 febbraio 1999:
Abdullah Ocalan, il leader del Pkk (Partito dei lavoratori curdi, d’ispirazione marxista, in lotta armata contro la Turchia dal 1984) viene catturato in Kenia e condotto in Turchia. Le circostanze dell’arresto non sono del tutto chiare. Nelle settimane precedenti, dopo la partenza dall’Italia, Ocalan era stato segnalato in vari luoghi d’Europa e si trovava forse da una decina di giorni nell’ambasciata greca di Nairobi. Manifestazioni dei Curdi in vari stati europei, dirette soprattutto contro le ambasciate e i consolati di Grecia.

• Marzo – aprile 1999:
in Afghanistan, con la mediazione dell’ONU i talebani accettano un accordo di pace con l’opposizione del comandante Massud, che prevede la creazione di un governo di unità nazionale. I negoziati, che si prolungheranno ad aprile, dovrebbero concludere venti anni di guerra civile. A metà aprile, però, le trattative sembrano interrotte e i combattimenti riprendono.

• 18 aprile 1999:
elezioni anticipate in Turchia. Drastico calo del partito islamista, mentre cresce di molto il Movimento nazionalista, un partito di estrema destra. Al primo posto il partito del premier uscente Ecevit.

• 17 maggio 1999:
elezioni in Israele: vince di larga misura il candidato laburista Ehud Barak. I primi punti del suo programma sono: trattare il ritiro di Israele dal Libano meridionale e dare attuazione agli accordi di Way Plantation. Al suo trionfo non corrisponde però un’uguale affermazione del suo partito; Barak dovrà dunque dare vita a un governo di larga coalizione. Le trattative si protraggono fino al 30 giugno, quando è varato un governo che esclude il Likud e comprende il partito Shas degli ortodossi.

• 29 giugno 1999:
il processo a Ocalan in Turchia si conclude con la condanna a morte. È previsto un processo di appello e poi la decisione finale dovrà essere presa dal parlamento. Forti pressioni dell’UE per la sospensione della sentenza, mentre il PKK dichiara di abbandonare la lotta armata.

• 8-14 luglio 1999:
manifestazioni di protesta degli studenti in Iran, contro l’ala conservatrice del regime islamico. La protesta, originata dalla decisione di un tribunale religioso di chiudere un giornale riformista, sfocia in violenti scontri a Teheran e a Tabriz, dopo l’intervento, contro gli studenti, della polizia segreta e dei “guardiani della rivoluzione”. Gli scontri provocano cinque morti e qualche centinaio di arresti. Il presidente Khatami, a cui gli studenti fanno riferimento e che sembrava in un primo momento appoggiarli, prende le distanze dal movimento e invita le università a mantenersi nella legalità e nell’ordine. La fase degli scontri violenti si chiude con un’imponente manifestazione di appoggio al regime.

• 4 settembre 1999:
con la mediazione del presidente egiziano Mubarak, viene firmato l’accordo fra Israele e Autorità palestinese per il ritiro israeliano da una parte dei territori occupati in Cisgiordania, già deciso a Way Plantation. Pochi giorni dopo, l’Alta Corte israeliana vieta l’uso della tortura da parte dei servizi segreti negli interrogatori dei prigionieri sospettati di attività terroristiche.

1990 – La Siria impone al Libano la fine della guerra civile e instaura la propria egemonia nel paese.

1991 – Guerra del Golfo in risposta all’aggressione dell’Iraq in Kuwait.

1992 – Il laburista Rabin vince le elezioni in Israele.

2000 – Comincia la cosiddetta Intifada al-Aqsa (Seconda Intifada).

2004 – Operazione Arcobaleno

2006 – Operazione Piogge estive

2007 – Conferenza di Annapolis

2008-2009 – Operazione Inverno caldo, Operazione Piombo fuso

2010 – Un raid aereo e navale portato dall’IDF (Israel Defense Forces), in acque internazionali, verso un convoglio di sei navi turche (Incidente della Freedom Flotilla) nel maggio 2010 con a bordo pacifisti che tentavano di forzare il Blocco della Striscia di Gaza portando aiuti umanitari e altri materiali a Gaza.

2011 – Viene ucciso con linciaggio Mu’ammar Gheddafi nel seserto libico, il 20 ottobre 2011

2012 – In data 14 novembre 2012 le forze armate israeliane danno il via a Gaza alla operazione Pilastro di sicurezza. In data 29 novembre 2012 la Palestina viene ammessa all’ONU come Stato osservatore non membro.

2013 – Nella notte tra il 29 e il 30 gennaio, alcuni jet israeliani bombardano un sito militare siriano. L’11 febbraio Israele dà il via libera alla costruzione di 90 nuovi insediamenti civili vicino a Ramallah

2014 – Operazione Margine di protezione

2016 – Risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede ad Israele di porre fine alla sua politica di insediamenti nei territori palestinesi, inclusa Gerusalemme est.


LIBIA: Guerra civile del 2011, la cattura e la morte di Gheddafi

Nel febbraio del 2011 anche la Libia, sull’onda della cosiddetta Primavera Araba, vide l’insorgere di moti di insurrezione popolare, che ben presto sfociarono in una guerra civile, nella quale la Nato avrebbe in seguito fatto il suo ingresso fiancheggiando le forze ribelli, che avrebbero infine rovesciato il regime di Gheddafi.[30]

Gli scontri, sin dalle prime sollevazioni, si rivelarono molto cruenti. Le forze del regime misero in atto una dura repressione armata che causò la morte di numerosi civili, sui quali veniva aperto il fuoco, con attacchi sommari e violenti sia nelle case che in luoghi e uffici pubblici. Per tali ragioni il 16 maggio del 2011, sulla base delle numerose prove raccolte, il procuratore del Tribunale penale internazionale, Luis Moreno Ocampo, chiese alla corte penale l’incriminazione di Gheddafi per crimini contro l’umanità, insieme al figlio Sayf al-Islam Gheddafi e al capo dei servizi segreti libici Abd Allah al-Sanussi.[31]

Nel corso del mese di agosto le forze ribelli erano in procinto di conquistare Tripoli e Gheddafi veniva localizzato presso la sua città natale, Sirte.[32]

Il 20 ottobre 2011, risultando vana ogni ulteriore resistenza nella difesa di Sirte, nella quale si era asserragliato contestualmente alla caduta di Tripoli, Muʿammar Gheddafi tentò di guadagnare il deserto per continuare la lotta, ma il convoglio in cui viaggiava fu individuato dai droni inviati dal Presidente degli Stati Uniti Obama[33] e attaccato da parte di aerei militari francesi.

Raggiunto da elementi del CNT, Gheddafi fu ferito alle gambe e catturato vivo. Dopo essere stato ripetutamente picchiato, stuprato e brutalizzato, fu ucciso con un colpo di pistola alla testa; i suoi ultimi momenti di vita furono registrati dai presenti all’avvenimento in numerosi video.[34][35] Successivamente il suo cadavere fu trasportato a Misurata, esposto al pubblico e, quindi, sepolto in una località segreta nel deserto libico.[36][37] La sua eredità politica e la guida della Giamahiria furono raccolte dall’altro figlio Sayf al-Islam Gheddafi, il quale, il 23 ottobre 2011, per mezzo della Tv siriana al-Rāʾī (L’opinione), dichiarò in un breve messaggio audio di voler vendicare la morte del padre e di continuare la resistenza contro il CNT, le forze della NATO e l’esercito francese sino alla fine: “Io vi dico, andate all’inferno, voi e la NATO dietro di voi. Questo è il nostro Paese, noi ci viviamo, ci moriamo e stiamo continuando a combattere”. Il CNT decise poi di aprire un’inchiesta sulla morte di Mu’ammar Gheddafi.

In cerca di vendetta per l’uccisione, i simpatizzanti di Gheddafi rapirono, torturarono per 50 giorni e infine assassinarono uno dei suoi catturatori, il ventiduenne Omran Shaaban, nei pressi di Bani Walid nel settembre 2012.[38]

Secondo un’inchiesta di Amnesty International, non esisterebbe nessuna prova degli stupri di cui sono state accusate le forze di Gheddafi. Anche Human Rights Watch non ha trovato evidenza di accuse di stupri.[39]

Sequestri patrimoniali dopo l’assassinio

Nel marzo 2012 la Guardia di Finanza ha sequestrato beni in Italia della famiglia Gheddafi per oltre un miliardo di euro. Tra questi l’1,256% di Unicredit (pari ad un valore di 611 milioni di euro), il 2% di Finmeccanica, l’1,5% della Juventus, lo 0,58% di Eni, pari a 410 milioni, lo 0,33% di alcune società del gruppo Fiat, come Fiat SpA e Fiat Industrial.

Oltre alle quote azionarie, le Fiamme Gialle hanno apposto i sigilli anche a 150 ettari di terreno nell’isola di Pantelleria, due moto (una Harley Davidson e una Yamaha) e un appartamento in via Sardegna, a Roma. Diversi anche i conti correnti posti sotto sequestro: il deposito più consistente, 650 000 euro in titoli, è quello presso la filiale di Roma della Ubae Bank, una joint venture italo-libica.[40] Oltre a ciò, in numerosi altri paesi sono stati sequestrati beni di vario tipo e conti bancari, per un totale di duecento miliardi di dollari. Ciò avrebbe fatto di Gheddafi l’ottava persona più ricca della storia.[41]

Fonte: Wikipedia